Esperti a confronto sul tema

«Coloro che affermano che qualsiasi tipo di pensiero gender si oppone alla tradizione cristiana ci ingannano». Parola di monsignor Philippe Bordeyne, teologo morale e preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”. «Dare forma al genere fa parte del compito a lungo termine di umanizzare la sessualità nelle sue dimensioni personali e sociali, senza essere un’ideologia».

La riflessione è stata presentata nell’ambito del corso di formazione per operatori di pastorale con persone lgbt+ organizzato dai gesuiti di Villa San Giuseppe a Bologna a cui ha preso parte anche l’arcivescovo di Modena, Erio Castellucci, vicepresidente Cei per il Nord Italia, che ha parlato del Sinodo dove, com’è noto, il tema dell’accoglienza delle persone Lgbtq+ è tra quelli all’ordine del giorno. Tanti gli spunti originali emersi nel corso della due giorni dedicata al rapporto tra gender e fede.

Don Aristide Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale ha messo in luce gli sforzi della Chiesa per rispondere alla sfida antropologica, personale e relazionale posta dalla questione gender, una preoccupazione a cui si è dato concretezza sia prendendo le distanza sia dall’ideologia gender «che abbraccia la teoria del (de) costruzionismo culturale per la quale il genere sessuale è un prodotto della cultura sociale », sia dall’ideologia sex, meno conosciuta ma altrettanto criticable, «la quale abbracciando la teoria dell’essenzialismo naturale, ritiene che il genere sessuale sia dato dalla natura biologica». Una duplice esclusione – anche se con accenti e proporzioni diverse nel corso di questi decenni – che afferma la necessità di entrambe nella definizione dell’identità sessuale della persona. «La sfida antropologica posta dalla questione gender – ha aggiunto Fumagalli – comporta un duplice problema: quello personale del rapporto tra spirito e corpo e quello relazionale del rapporto tra uomo e donna».

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