Eric

New York, anni ’80. Vincent è un artista e doppiatore di pupazzi nel programma Tv “Good Day Sunshine”. È sposato con Cassie e i due hanno un figlio di dieci anni, Edgar. I rapporti in casa sono tesi, marcati da infelicità. Un giorno, dopo un’accesa discussione padre-figlio, Edgar scompare. A ben vedere, però, non è il primo ragazzo di cui si sono perse le tracce di recente. A indagare c’è il poliziotto afroamericano Ledroit, caparbio e determinato, che però sconta un razzismo ancora bruciante, costretto inoltre a celare la sua omosessualità. Le ore passano e di Edgar non sembrano esserci più tracce. Precipitato nello sconforto, Vincent inizia a vedere un mostro a dimensione umana: è Eric, il personaggio che popolava le fantasie del figlio…

Valutazione Pastorale

Gallese, classe 1968, Abi Morgan ha al suo attivo copioni importanti tra cinema e Tv: da “The Iron Lady” (2011), biopic su Margaret Thatcher che ha regalato il terzo Oscar a Meryl Streep, a “Shame” (2011) e “Suffragette” (2015), senza dimenticare la serie “The Split” (2018-22, adattata in Italia da Palomar in “Studio Battaglia”). La Morgan ha realizzato per Netflix “Eric”, intensa e sfidante miniserie originale che esplora più generi narrativi. Il perimetro è il crime-thriller con dinamiche da poliziesco: alla base c’è il rapimento di un minore e le indagini che si attivano per ritrovarlo; il campo del racconto si allarga poi rivelando una linea da family drama con inserti onirico-fantastici. Alla regia c’è Lucy Forbes, protagonista Benedict Cumberbatch (anche produttore), affiancato dai comprimari Gaby Hoffmann, McKinley Belcher III e dal giovanissimo Ivan Morris Howe. La storia. New York, anni ’80. Vincent è un artista e doppiatore di pupazzi nel programma Tv “Good Day Sunshine”. È sposato con Cassie e i due hanno un figlio di dieci anni, Edgar. I rapporti in casa sono tesi, marcati da infelicità. Un giorno, dopo un’accesa discussione padre-figlio, Edgar scompare. A ben vedere, però, non è il primo ragazzo di cui si sono perse le tracce di recente. A indagare c’è il poliziotto afroamericano Ledroit, caparbio e determinato, che però sconta un razzismo ancora bruciante, costretto inoltre a celare la sua omosessualità. Le ore passano e di Edgar non sembrano esserci più tracce. Precipitato nello sconforto, Vincent inizia a vedere un mostro a dimensione umana: è Eric, il personaggio che popolava le fantasie del figlio… La struttura narrativa è di certo aggrovigliata, composita. La cornice è quella di un crime fosco, che mette al centro sparizioni di minori, la vita ai margini della società, dai senzatetto alla comunità afroamericana e Lgbtq+. Lo sfondo sociale è quello degli Stati Uniti anni ’80, tra il sogno di una corsa economica, di una metropoli che vola veloce verso il successo facile e fagocitante, ma anche il realismo di un mondo a più velocità, che lascia indietro ampie sacche di popolazione.

Accanto a tutto ciò, si muove la parabola di un uomo, di un sognatore, che è impantanato in una fase di depressione e infelicità: è Vincent, che Benedict Cumberbatch sagoma in maniera eccellente, un artista che incanta i bambini con le sue trovate e i suoi pupazzi, che però non sa comunicare con il proprio figlio. Con lui è ruvido, scontroso, replicando quell’atteggiamento che suo padre gli aveva riservato da piccolo. Quando Edgar scompare, Vincent cade in una vertigine di paura, solitudine e disperazione. Si aggrappa al lavoro e alla bottiglia, sbandando sempre di più; a scuoterlo dal torpore arriva – qui è l’irruzione del fantastico – un mostro dai tratti gentili che ricorda tanto il Gruffalò. È il mostro disegnato dal figlio, che però si materializza con fattezze reali davanti a lui e lo incita a darsi da fare per ritrovare Edgar. In questo la miniserie sembra richiamare anche il film “Sette minuti dopo la mezzanotte” (“A Monster Calls”, 2016) di Juan Antonio Bayona, dal romanzo per bambini di Patrick Ness. E se la linea investigativa, da thriller poliziesco, affidata al detective Ledroit risulta interessante e serrata, anche se un po’ appesantita da un sovraccarico di tematiche narrative (corruzione nella polizia, abusi sui minori, razzismo, identità, condizione dei senzatetto, ecc.), a conquistare è di certo la relazione padre-figlio.

La miniserie mette in campo il percorso di smarrimento di un padre che arriva a calcare la soglia della follia pur di ritrovare il figlio perduto, trovando alla fine la forza per rimettersi in piedi e riconciliarsi con l’esistenza. Un andamento narrativo non sempre fluido o facile, ma di certo interessante, che trova intensità e regala pennellate di fiducia nei volteggi finali. Con qualche riserva, dunque, per l’eccessiva stratificazione e complessità narrativa, a conquistare è lo stile originale del racconto, ma soprattutto la performance degli interpreti, su tutti Cumberbatch: magnifico! Miniserie complessa, problematica.