Diocesi
Ebrei e cristiani insieme
Anche quest’anno come ormai da 33 anni fin dal 1990, si è tenuta la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei per imparare a guardarsi con cuore disarmato, riconoscendo lo strettissimo legame tra le due comunità di fede. Come tema per questa edizione dell’iniziativa, la Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo ha scelto un passo del profeta Geremia: “Realizzerò la mia buona promessa” (Ger.29,10).
Livorno, nonostante il periodo di pandemia, nel rispetto delle norme Covid, non ha rinunciato a questo dialogo e così, Ebrei e Cristiani si sono ritrovati presso il salone gentilmente concesso dalla Banca di Credito di Castagneto Carducci. Il Direttore Dottor Roberto Pullerà, nel saluto iniziale ha sottolineato come l’Istituto di credito vuole offrire un servizio alla cultura e al dialogo alla cittadinanza labronica. Così pure il Direttore del Cedomei, il diacono Andrea Zargani, ha ringraziato i presenti per questo quanto mai opportuno e necessario momento di condivisione per rafforzare il dialogo e la conoscenza tra il mondo ebraico e quello cristiano.
Il Rabbino Capo Avraham Nino Dayan, prima di commentare il Libro profetico di Geremia, ha presentato il giorno di festa che coincideva con questa data per la tradizione ebraica: Tū BiSh’əvat.
E’ una festa ebraica che ricorre il 15° giorno del mese ebraico di Shevat, inizia al tramonto del 16 gennaio e termina la sera del 17 gennaio. È anche chiamato Rosh HaShanah La’Ilanot , letteralmente “Capodanno degli alberi”. Nell’Israele contemporaneo , la giornata viene celebrata come una giornata di consapevolezza ecologica e vengono piantati alberi per festeggiare.
Commentando il libro di Geremia esso è costituito da 52 capitoli con 1369 versetti. Geremia (Jermiahu ben Chilqijahu) è tra i profeti biblici quello di cui si hanno maggiori notizie biografiche. Di famiglia sacerdotale, nacque ad Anatot, un villaggio presso Gerusalemme. La sua attività profetica si estese per un periodo di circa 40 anni, dai tempi del re di Giuda Giosia (626 av. e.v.) a poco dopo la distruzione del Santuario da parte dei Babilonesi (587 av. e.v.). Avvertendo la minaccia crescente della potenza babilonese, cercò di impedire la distruzione del regno di Giuda, suggerendo una politica accomodante; ma in tal modo si inimicò la classe dirigente e il popolo e fu perseguitato e imprigionato. Dopo la distruzione del Tempio e la morte del governatore ebreo Ghedalia, Geremia fu costretto a seguire un gruppo di esuli verso l’Egitto, e da quel momento non si hanno più notizie di lui.
Motivo costante, di gran parte del libro di Geremia è l’annuncio della catastrofe imminente e delle terribili punizioni che colpiranno a tutti i livelli la società che si è rifiutata di piegarsi alla volontà divina. La descrizione di queste sciagure si ripete in molti capitoli, ha procurato a Geremia la fama di profeta cupo e lamentoso per eccellenza. Ma se Geremia arriva alle espressioni più violente nella critica del male, in coerenza alla sua visione che non può consentire alcun compromesso, egli è anche l’uomo capace di consigliare e indirizzare i suoi fratelli in pace e serenità, nella prospettiva di tempi migliori. Suo è un importante messaggio ai primi esuli ebrei in Babilonia, che si chiedevano come reagire alla violenza subita, se e come iniziare una nuova vita, ed erano disorientati da promesse e annunci falsi di liberazione. A loro Geremia indirizza una lettera che è un lucido documento di realismo politico, che tuttavia in nulla cede moralmente, e che chiarisce i termini della salvezza; questa vi sarà, ma non subito, per cui sarà bene che gli esuli riprendano una vita normale, costruendo case, lavorando e sposandosi, e adoperandosi per la pace della società che li ospita (29:1-15). Pochi versi come questi hanno avuto tanto impatto nelle successive vicende della storia ebraica, come guida al comportamento nella Diaspora.
Il pastore della Chiesa Valdese di Livorno, Pisa e Isola d’Elba, Daniele Bouchard, dopo aver contestualizzato la figura di Geremia; siamo tra la prima e la seconda deportazione a Babilonia, con il piccolo regno di Giuda lacerato tra le due grandi potenze, quella babilonese e l’Egitto; dice che il popolo viene punito da Dio con giudizio inappellabile. Dio opera ed esprime il suo giudizio su chiunque. E’ difficile riconoscere dove Dio opera e questo richiede molto ascolto, umiltà e lucidità . Volendo applicare questo alla realtà odierna, se vogliamo trovare un esempio del giudizio di Dio lo possiamo vedere nell’infedeltà della cristianità europea che sta portando ad un declino di cui non si capisce dove vada a finire e si può paragonare con la persecuzione del popolo ebraico. Secondo tema teologico è quello che ci fa comprendere che anche dopo la punizione sarà più atroce; Dio riapre sempre l’orizzonte e saranno i nipoti a vedere la realizzazione della promessa. La speranza di Geremia applicata all’oggi: dopo la debacle del declino attuale sarà un dono di Dio nella storia e questa ci da la possibilità di vivere la speranza L’ultimo aspetto da cogliere nella lettera ai deportati è l’invito a vedere l’esilio come periodo da vivere con impegno. Gli esiliati costituiscono un paradigma di come vivere l’attesa della promessa cioè vivere per il bene, per il miglioramento della società e questo va vissuto con la preghiera.
Precedentemente al dialogo su Geremia, i presenti si erano dati appuntamento davanti alla Sinagoga dove dopo la lettura del Salmo 32 in ebraico e nelle lingue delle comunità cristiane presenti a Livorno, il Vescovo Simone Giusti insieme al Rabbino hanno acceso la Kannukkia. Monsignor Giusti ha espresso con forza l’importanza di ribadire la vicinanza tra ebrei e cristiani facendo anche riferimento ai recenti episodi di antisemitismo e antisionismo verificatisi negli Stati Uniti.