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Disinformazione, misinformazione, malinformazione
Negli ultimi anni abbiamo spesso sentito parlare di fake news, al punto da essere diventato un tema centrale nel dibattito pubblico. Troppo spesso però si usa il termine in modo vago e superficiale, semplificando in maniera eccessiva una questione di fondamentale importanza per la nostra vita quotidiana e il corretto funzionamento della democrazia. Proviamo a rispondere ad alcune domande utili a capire meglio il fenomeno:
È SEMPRE CORRETTO PARLARE DI FAKE NEWS?La diffusione del neologismo fake news ha iniziato ad avere ampia diffusione a partire dal 2016 dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e il referendum per la Brexit in Gran Bretagna, trovando molto spazio nell’ambito della comunicazione politica, dove spesso è stato utilizzato strumentalmente per attaccare i propri avversari (politici, media, cittadini). In italiano la locuzione può essere tradotta con “bufala mediatica” (v. dizionario Treccani), anche se quest’ultima espressione fa riferimento a notizie prive di qualsiasi fondamento. Non sempre, invece, quando parliamo di fake news intendiamo informazioni completamente inventate. Lo spettro dei fenomeni che comprende è davvero ampio e non tutti sono “fake” (falsi).
È TUTTA COLPA DEI SOCIAL MEDIA?Spesso la responsabilità della circolazione delle fake news viene fatta ricadere sul web e i social media. A ben guardare però non si tratta di un fenomeno nuovo. La manipolazione delle informazioni annovera numerosi esempi che hanno fatto la storia dei mass media e non solo. Un caso emblematico (tra altri) spesso ricordato è la notizia dell’invasione marziana della Terra annunciata nel 1938 via radio da Orson Wells, che numerosi ascoltatori considerarono vera. O ancora, altre notizie false hanno avuto effetti dirompenti sulla vita di tante persone, come la presunta presenza di armi di distruzione di massa in Iraq che ebbe come conseguenza la guerra del Golfo.Ciò che è nuovo, nell’epoca dei social media, è il modo di produrre, far circolare e interpretare i messaggi con cui veniamo in contatto. Nei social media, l’informazione professionale si mescola alle comunicazioni informali, i consumatori di news cercano e condividono informazioni online, il raggiungimento di audience sempre più ampie avviene in modi molto più celeri rispetto al passato. In questo contesto, nessuno è esonerato dal rischio di contribuire alla circolazione di notizie false, testate giornalistiche autorevoli e cittadini compresi.
MA PERCHÉ CREDIAMO ALLE NOTIZIE FALSE?In una situazione di abbondanza informativa come quella attuale, cui fa da contraltare la scarsità di tempo a disposizione necessaria per vagliarle tutte con accuratezza (inclusa una certa dose di pigrizia), è importante riflettere sulle motivazioni che ci portano a selezionare e poi a credere a certe notizie. Innanzi tutto, la tendenza a sfuggire alle informazioni o distorcerle al punto da eliminare ogni possibilità di “dissonanza cognitiva”, la sensazione di disagio cioè che proviamo nel momento in cui il significato dei messaggi non sia coerente con le nostre aspettative. Semplificando, crediamo generalmente a ciò che conferma le nostre convinzioni. Ecco perché possiamo credere anche a notizie che possono rivelarsi non veritiere. Un secondo elemento è la reazione emotiva che certi contenuti generano in noi. Contenuti visivi forti sono maggiormente in grado di attivare la nostra reazione, a volte a discapito di un discernimento sui contenuti.
PERCHÉ È UTILE DISTINGUERE DIVERSI TIPI DI DISORDINE INFORMATIVO?Tornando alla domanda inziale, piuttosto che continuare a parlare di fake news, è più utile distinguere diversi tipi di information disorder (disordine informativo): disinformation, misinformation, malinformation. Due sono gli elementi che discriminano i diversi tipi (Wardle, Derakhshan 2017): il grado di attendibilità dei contenuti e l’intenzione di chi pubblica la notizia. La disinformation (informazioni false condivise intenzionalmente per causare danno) può essere motivata da vari fattori: guadagnare soldi, creare pressione politica oppure semplicemente per il gusto di causare problemi e generare confusione. Quando la disinformazione viene diffusa nei social media potrebbe trasformarsi in misinformation (utenti inconsapevoli di pubblicare informazioni false o fuorvianti). Questa dinamica è piuttosto frequente: può capitare di condividere informazioni in buona fede e scoprire poi che il contenuto è falso. La malinformation, infine, si verifica quando informazioni autentiche sono condivise per causare danni, ad esempio divulgando informazioni private al pubblico.
La questione delle fake news e del disordine informativo, per concludere, è una questione complessa che richiede da parte nostra l’acquisizione di quelle competenze digitali che ci aiutino non solo a saper cercare e selezionare informazioni, ma anche capire se le informazioni siano attendibili, richiamandoci alla prudenza e alla responsabilità nei nostri comportamenti online.
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