Dalla Ru486 all’omofobia

Caro direttore, il dibattito politico sulla Ru486 e sull’omofobia, sull’immigrazione e i richiedenti asilo ha dei risvolti molto più ampi che interessano la cultura, la vita sociale e, per questo anche la vita ecclesiale. La Chiesa è nel mondo, e la sua ‘presenza e azione’, il suo stile di vita nel mondo è stato indicato dalla costituzione conciliare Gaudium et spes. Saper leggere il mondo con libertà e intelligenza della fede è un compito che si rinnova per la Chiesa in ogni tornante della storia. 

C’è però un «pericolo», di cui già nel 1967 il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, rendeva attenti: «Che una certa pigrizia mentale, un facile adattarsi a schemi rispecchianti una realtà ormai sorpassata, la scarsezza di contatti con le molteplici e varie correnti del pensiero e della vita, induca certi cattolici a chiudersi in un orizzonte limitato, e giudicare con vedute ristrette senza saper uscire dal piccolo mondo di chi sta vicino» (‘La Chiesa nel mondo. Lettera per la Quaresima del 1967’, Fossano, Editrice esperienze, p. 5). Uno sguardo al mondo deve necessariamente farci ‘andare’, ‘uscire’ per predicare il Vangelo della gioia, soprattutto incarnando un rinnovato stile di presenza e azione della Chiesa. 

La Chiesa riconosce presente in ogni vita il Signore. E per questo, la Chiesa non può essere indifferente o assente nell’attuale dibattito politico che rischia di sacrificare la dignità della persona, non aiutando a tutelare la dignità della donna nel momento di una decisione difficile e la verità della dignità di suo figlio che sta per generare. Legare la vita delle persone a una pillola, liberandola da ogni relazione, significa rinunciare a difendere la sua dignità. Al tempo stesso, la Chiesa non può rimanere indifferente quando si rischia di sacrificare la dignità del migrante e del rifugiato, indebolendo il diritto di migrare per salvare la propria vita, impedendo la costruzione di corridoi umanitari, a tutela dei più deboli; non facilitando una programmazione intelligente di flussi dei lavoratori migranti e una distribuzione sul territorio nazionale e sul territorio europeo dei richiedenti asilo. Papa Francesco nell’esortazione Gaudete et exsultate ci ha ammonito ricordando che «Alcuni cattolici affermano che (quello dei migranti) è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica. 

Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli» (102). Infine, la Chiesa non può rischiare di accettare che la lotta alle discriminazioni, che non tutelano la dignità della persona, sia fondata sulla negazione della verità della persona: caritas in veritate. E la verità che fonda la tutela della dignità di ogni persona è che ognuno di noi è una creatura, nessuno è padrone della vita dell’altro. 

Papa Francesco, ancora nell’esortazione Gaudete et exsultate – dedicata, ricordiamolo, alla santità – ricorda in un passaggio santa Bakhita, la schiava diventata suora canossiana: «Comprese la verità profonda che Dio, e non l’uomo, è il vero padrone di ogni essere umano, di ogni vita umana. Questa esperienza divenne fonte di grande saggezza per questa umile figlia d’Africa» (32). Dignità e verità camminano sempre insieme. La maturità di un popolo si riconosce dalla tutela della dignità di ogni persona, ma mai sacrificando la verità di una storia culturale, sociale e religiosa che si confronta continuamente con ‘i segni dei tempi’, lasciandosi interrogare e non spaventare. 

Arcivescovo di Ferrara-Comacchio