Dal libro del Qohelet

Il Covid non ha impedito le celebrazioni della Giornata di approfondimento del dialogo ebraico cristiano; ne ha soltanto modificato le modalità. Infatti come sempre, svolgendosi la prima parte all’aperto, davanti alla Hannukia posta a lato della Sinagoga, la comunità ebraica, guidata dal Rabbino Avraham Dayan e le confessioni cristiane con i loro rappresentanti  e il Vescovo di Livorno Monsignor Simone Giusti, si sono riuniti a pregare. Appena apparsa la luna con le prime stelle, durante l‘accensione della Hannukya, Rav Dayan ha letto il salmo 130 insieme altri rappresentanti delle confessioni cristiane presenti. La scelta di questo Salmo è stato dedicato a tutte le vittime del Covid ed è stata invocata la benedizione del Signore perché doni un ritorno alla vita serena e tranquilla.

Al termine della preghiera, nella saletta della Comunità ebraica si è tenuto in streaming il commento a due voci del libro di Qohelet. Il Rabbino Capo Avraham Dayan ha premesso che questo libro  fa parte delle cinque Meghillot – i Rotoli – nella terza parte della Bibbia ebraica, i Ketuvim – Agiografi. Secondo l’insegnamento rabbinico, riportato nelle raccolte di midrash del Qohelet Rabbà (1,2), e del Shir ha-Shirim Rabbà, il nome Qohelet si riferisce al re Salomone al quale la tradizione, riportata nelle stesse fonti, attribuisce la composizione di quest’opera, sulla base delle informazioni indicate dal testo stesso, che presenta l’autore come figlio del re Davide e sovrano in Gerusalemme, e per la corrispondenza tra le caratteristiche del soggetto narrante, che si distingue per sapienza e ricchezza, e le notizie a proposito della sapienza del Re Salomone e di come l’avesse ricevuta in dono dal Signore. Rav Azulai dice che solo Salomone poteva scrivere questo libro e leggendo infatti il secondo versetto  all’inizio, capiamo che solo lui poteva scriverlo.

Infatti la gente comune  non poteva capire cosa fosse la vanità mentre Salomone che aveva tutto, ricchezza, potere, moltissime donne, conosceva le lingue e anche il linguaggio degli animali, poteva dichiarare tutto questo,vanità . In questo testo si trovano tante affermazioni che si contrappongono, addirittura in un passo Salomone invita a mangiare e bere perché domani moriamo. Nella bibbia ebraica ci sono 24 libri e i maestri non volevano inserire questo perché ci sono espressioni dove  si invita a non pensare alla vita religiosa e spirituale. Lo hanno poi inserito perché all’ultimo versetto Salomone conclude con “ temi Dio e osserva e i suoi precetti perché qui sta tutto l’uomo. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male”. Se consideriamo il terzo capitolo leggiamo che si parla del tempo e si dice che ogni cosa ha il suo momento ed è sotto il sole. Tempo di nascere e di morire, tempo di uccidere e guarire, tempo di demolire e di costruire; ci sono 20 esempi sul tempo. Un rabbino meditando questo testo dice che se ogni cosa ha il suo momento significa che tutto è programmato dal Signore, ma di più ci vuole l’aiuto della persona. Dio ti da tutto sia positivo che negativo ma l’uomo partecipa con la propria azione. Rav Dayan ha osservato come  Salomone sia debitore  alla mamma che quando era piccolo gli  impediva di uscire e voleva che studiasse e nel libro dei Proverbi ricorda quanto la sua mamma si sia adoperata perché lui crescesse bene. Suo padre David era un grande Re e seguendolo, inizia la costruzione del Tempio. Quando succede al padre e il Signore gli chiede cosa vuole, egli risponde, la saggezza. Salomone dà tanti consigli al mondo e fra questi quello di non parlare molto. Quando si chiede a Dio bisogna essere precisi, non tutto quello che è nel cuore deve essere espresso. Passando all’ultimo capitolo vediamo che parla ai giovani e dice: “ ricordati che diventerai vecchio, perché arriveranno anni in cui potresti preferire morire per la situazione difficile che potresti vivere”. Quindi oltre a dire tutto è vanità più era saggio Salomone e più insegnava al mondo. Nell’11 capitolo c’è un versetto che dice; getta il tuo pane sulla superficie perché dopo tanto tempo troverai. “Come il contadino che semina troverai il frutto. Non sai quando ma troverai. Salomone dice di essere diventato quello che è  perché i suoi genitori hanno seminato. Il 13 versetto dell’ultimo capitolo e 14 del libro ricorda  che alla fine c’è un giudizio su come ti comporterai e su cosa avrai compiuto nel bene e nel male. Chi semina con sofferenza con tanta gioia raccoglierà. Questo libro deve stimolarci a seminare cose buone con l’aiuto di Dio”.

Il Professore  di Sacra Scrittura, Marcello Marino dopo i ringraziamenti ha ricordato come  questo libro purtroppo è  poco conosciuto ai cristiani stessi. Tutto il libro vede  ripetere in modo quasi martellante la parola hebel . Le traduzioni sono fuorvianti nell’indicarla con “vanità”, ma hebel  indica  inconsistenza, soffio, non c’è niente di moralistico come invece tanti cristiani hanno fatto. Qohelet non invita mai a disprezzare il mondo ma a leggere la precarietà degli accadimenti umani.. Quando Qohelet si affatica a cercare non potrà scoprire nulla. La vita non si svolge secondo regole prestabilite. Dio spesso appare assente e sembra che i cattivi abbiano la meglio. La ricompensa materiale per chi si comporta bene non è riscontrabile. La vita sembra dunque un assurdo nonsenso.  Qohelet nel terzo capitolo ci presenta Dio che viene visto con timore  e si crede in Lui nonostante la vita assurda e sapendo di morire come i malvagi. Molte sarebbero le considerazioni da proporre ma è importante anche capire  cosa dice Qoelet al cristiano del terzo millennio. Un primo aspetto è che ci invita  a fuggire dalle realtà terrene in vista di qualcosa di più grande perché dopo questa vita infatti per lui non c’è niente. Qohelet continua anche a ricordarci che la nostra conoscenza è sempre limitata specie quando pretendiamo di avere capito tutto. Mette in crisi le nostre certezze quando  rischiano di diventare rifugio sicuro. Qohelet infine propone il timore di Dio come essenza dell’esperienza della fede: Dio è sempre oltre le attese dell’uomo, rimanendo in qualche misura incomprensibile, il totalmente Altro, il Trascendente , seppur presente e operante nel mondo.”E’ un richiamo alla gratuità della fede: a ripartire da Dio, senza aspettarsi niente in cambio, accettando anche l’apparente non senso della vita che accomuna i figli di Abramo, i fratelli di Gesù, a tanti uomini e donne di buona volontà. Qohelet è scritto anche per loro”.

Il professor Andrea Zargani, delegato diocesano per il dialogo e l’ecumenismo,  a conclusione dell’incontro ha espresso sentimenti di fiducia per questa Giornata che fa compiere ulteriori passi nel processo di comprensione e di dialogo che ha ancora bisogno di essere recepito e diventare cultura, cioè modo di pensare, di parlare, di scrivere e di vivere, ma “certamente la riflessione su Qohelet è un passo ulteriore nella riscoperta del valore e del senso del nostro essere radicati nella fede dell’Israele di Dio”