Consacrati nella verità

In questa Santa Messa – ha esordito il vescovo Simone, nella celebrazione del Mercoledì santo, davanti ai sacerdoti della Diocesi – i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19) come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini”.

“Ma siamo consacrati anche nella realtà della nostra vita? – ha continuato – Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi e noi stiamo davanti a Lui. Mi chiedo e vi chiedo: “Volete quindi unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui nonostante la nebbia che può circondare la nostra fragile umanità? Siete pronti a rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?” Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo. È richiesto che noi, che io, non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro, di Cristo, il quale la custodirà come un bene prezioso.

Ma chi è che custodisce la gioia del sacerdote? – si è chiesto mons. Giusti – sicuramente il suo gregge! Ogni ministro di Dio potrà attraversare i suoi “momenti di tristezza”, i suoi “momenti apatici e noiosi” (Papa Francesco stesso ha confidato di averne anch’egli vissuti), tuttavia anche in questi passaggi difficili, il popolo di Dio è in grado di offrire sostegno al proprio pastore, aiutandolo ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata. Oltre alla Chiesa a custodire la gioia sacerdotale, ci sono “tre sorelle“, esse la circondano, la proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza:

La povertà sta a significare che il sacerdote “è povero di gioia meramente umana”. Quando si parla di “crisi dell’identità sacerdotale”, ha osservato il Papa, spesso non si tiene conto che “l’identità presuppone appartenenza” nei confronti del popolo di Dio. Non è indagando introspettivamente nella propria interiorità”, che un sacerdote può trovare la sua identità: riuscirà a farlo soltanto uscendo da se stesso e andando incontro al popolo che gli è stato affidato il quale saprà farlo gioire “con il cento per uno che il Signore ha promesso ai suoi servi. Se un sacerdote non esce da se stesso l’olio diventa rancido e l’unzione non può essere feconda. Uscire da sé stessi richiede spogliarsi di sé, comporta povertà.

C’è poi la fedeltà, che rappresenta l’amore “all’unica Sposa, la Chiesa”, di cui il sacerdote si prende cura e dalla quale egli riceve gioia quando le è fedele, quando fa tutto ciò che deve fare e lascia tutto ciò che deve lasciare pur di rimanere in mezzo alle pecore che il Signore gli ha affidato.

L’obbedienza infine è riferita alla Chiesa “come gerarchia” ma anche “nel servizio”, nella “disponibilità” e nella “prontezza per servire tutti, sempre e nel modo migliore”. Obbedire (dal latino ob-audire), significa saper “ascoltare” e percepire il “mandato amoroso di Cristo” che invia il sacerdote a “soccorrere con misericordia” le necessità del popolo di Dio o a “sostenere quei buoni desideri con carità creativa come Gesù”. Infatti Cristo ha corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio. Gesù l’ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo.

Obbedienza pastorale non è passività, ma disponibilità a camminare insieme creativamente sotto la guida dello Spirito Santo che agisce attraverso la sua chiesa e i suoi pastori, come possiamo ritrovare nella storia dell’epoca post-conciliare. In essa si può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. Oggi la Chiesa sta procedendo alla beatificazione di tanti di loro. Se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari confratelli – ha concluso – Nel nostro secolo di scarsa fede, di diffuso scetticismo, il cristianesimo viene giudicato guardando ai cristiani. Nei secoli precedenti, secoli della fede, il cristianesimo veniva giudicato per la sua verità eterna, la sua dottrina, i suoi precetti. Ma il nostro secolo è troppo assorbito dall’uomo e dall’umano. I cattivi cristiani hanno offuscato il cristianesimo. Le cattive opere dei cristiani, la loro distorsione del cristianesimo, le loro violenze sono più interessanti del cristianesimo stesso, sono più eclatanti della sua grande verità. La conformazione a Cristo è perciò il presupposto e la base di ogni rinnovamento.

Se la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui, Egli ha provveduto come dicevamo, a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche.

Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”.

I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

guarda le foto scattate da Antonluca Moschetti

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