Commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Quando pregate, dite: Padre

Luca è essenziale, va dritto al mistero che vuole significare: nella parola “Padre” c’è già tutto quanto necessario per scoprire la profondità di una relazione capace di rivelare la dimensione divina e la realtà dell’uomo. La paternità divina è punto centrale della rivelazione di Gesù: un Padre che non è solo il creatore o il Padre del popolo d’Israele, ma che è Padre di ciascuno, tanto che Paolo scrive: voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15).

Riconoscere la paternità di Dio significa contemporaneamente affermare la nostra filiazione in lui. Nel Padre ci sentiamo riconciliati, accolti, amati.

Possiamo dire che la preghiera cristiana nasce dall’audacia di chiamare Dio con il nome di “Padre”. Questa è la radice della preghiera cristiana: dire “Padre” a Dio. Ma ci vuole coraggio! Non si tratta tanto di una formula, quanto di un’intimità filiale in cui siamo introdotti per grazia: Gesù è il rivelatore del Padre e ci dona la familiarità con Lui (Papa Francesco 22 maggio 2019).

Nella relazione filiale col Padre lasciamo che in noi agisca lo Spirito che ci immette nella dinamica trinitaria, ravviva il Battesimo che abbiamo ricevuto.

amico

Nella breve parabola che segue si intreccia intorno alla parola “amico” ripetuta più volte e per persone diverse capace di darci la misura della relazione: l’ospite improvviso che arriva di notte, il vicino della porta accanto, lo stesso interlocutore che si interfaccia con gli altri due. La parola “amico” da una parte distingue ma anche confonde perché pone ogni relazione sul piano amicale sia l’ospite di passaggio come il vicino restio e l’amico inopportuno. La forza della parabola sta nella situazione descritta: il viaggiatore che in stato di bisogno e c’è l’urgenza di aiutarlo, l’ospite che si immedesima nel bisogno dell’altro pur con la coscienza della propria impossibilità di dare risposta concreta perché nulla da offrirgli, il vicino di casa che per aiutare il vicino deve svegliare e far alzare i figli per arrivare alla dispensa e per aprire la porta di casa. Nascosta nella descrizione della situazione c’è un’altra protagonista fondamentale: la compassione che fa emergere l’amicizia che muove le parole e l’azione, crea comunione. L’amicizia permette di trovare la strada, gli amici della parabola si sono costretti a aiutarsi e superare la povertà di ciascuno: il bisogno del primo ha mosso l’insistenza del secondo che ha annullato la reticenza del terzo. La compassione non si stanca di intercedere, ma se vuole davvero aiutare gli altri deve anche agire perché pregare senza agire è da ipocriti, così come agire senza pregare è da pagani.

Ebbene, io vi dico

La compassione deve necessariamente mutarsi in preoccupazione per i nostri amici; la preghiera che la parabola vuole insegnarci muove dalle relazioni, impariamo a pregare amando chi abbiamo vicino e costruendo amicizie forti e appaganti capaci di metterci in azione, di stimolare la fantasia per trovare soluzioni; la preghiera genera comunione perché libera dai confini ristretti in cui ci chiudiamo e apre le porte, allarga l’orizzonte e ci trasferisce nel mondo dell’altro da me, i suoi bisogni, la sua realtà che diventa la mia, mi conduce oltre me e i miei.

Dono del Padre “a tutti quelli che chiedono” [non che glielo chiedono], a tutti i chiedenti è lo Spirito, forza dinamica e prorompente, ci dà la grazia di entrare nel cuore di Dio e vedere con i suoi occhi, con le sue tenerezze e la sua misericordia.