Come integrare la “pastorale delle spiegazioni” con la “pastorale delle narrazione”?

Come integrare la “pastorale delle spiegazioni” con la “pastorale delle narrazione”? Sappiamo bene come le caratteristiche del digitale non ci consentono di fermarci a pensare la comunicazione unicamente come un passaggio di informazioni.

Oggi le tecnologie non sono più soltanto degli strumenti utili per amplificare la nostra voce in modo da farla arrivare il più lontano possibile, o moltiplicarla indirizzandola verso diversi destinatari.

Certo, se dobbiamo fornire delle notizie utili per organizzare la vita della comunità (come ad esempio gli orari delle celebrazioni liturgiche), possiamo continuare ad affidarci efficacemente al foglio parrocchiale.

Ma in che modo la presenza dei media digitali e sociali può rappresentare un’opportunità per la comunicazione pastorale?

Per prima cosa, ricordiamo come le caratteristiche dei nuovi media rendono possibile essere persone che non solo ascoltano storie, ma le producono e le condividono continuamente attraverso la rete.

Infatti la “narrazione della nostra vita” non avviene soltanto con dei testi scritti che condividiamo, ma anche grazie ai contenuti che “ri-pubblichiamo”, le immagini e i video che postiamo, le interazioni con gli altri e i like che distribuiamo nelle nostre reti.

Una seconda riflessione, per avvicinarci al tema della pastorale è che, come ci ricorda fortemente il titolo di un libro scritto dal gesuita Jean Pierre Sonnet, “Generare è narrare”.

La Scrittura stessa infatti può essere vista come il racconto di come Dio si è fatto presente nella storia per incontrare gli uomini di ogni tempo; per questo motivo, quando papà e mamma narrano ai propri figli che cosa da’ significato ai propri giorni, possono diventare genitori non solo secondo la carne ma anche secondo la Parola.

Possiamo, allora, provare a ipotizzare tre attenzioni nell’utilizzo delle narrazioni digitali nell’azione pastorale, suggerite anche all’interno della ricerca “Connessioni comunitarie” condotta da Marco Rondonotti.

1- Riflettere: 

I media sociali tendono a mettere in evidenza l’esperienza personale vissuta soggettivamente, anche quando questa finisce per sembrare una sequenza velocissima di tanti frammenti (basti pensare allo scrolling).

Sviluppare una narrazione invece significa rintracciare il “filo rosso” degli eventi, della propria storia; è impossibile trovare questo filo senza prendersi il tempo per riflettere su stessi, imparando a conoscersi.

2- Costruire significato: 

Avviare una narrazione collettiva significa volere un gruppo di persone (o una comunità) non solo nella formazione dei contenuti, ma anche nella costruzione del significato che gli si vuole attribuire.

Facciamo un esempio molto attuale: un tema centrale per la Chiesa in questo momento è quello della sinodalità. Avviare una narrazione con la partecipazione di tutti i membri della comunità ecclesiale, ad esempio, potrebbe facilitare il compito di definire insieme una stessa visione ecclesiale, un’unica azione pastorale condivisa.

3- Conoscere i nuovi alfabeti: 

Per costruire una narrazione efficace nel nostro contesto contemporaneo bisogna conoscere e padroneggiare i nuovi alfabeti digitali.

Acquisire questa competenza significa poter entrare in dialogo con la società contemporanea, e forse anche avviare il processo di inculturazione;  sappiamo bene come questo rappresenti un passo fondamentale per ogni azione missionaria.

Per chiudere: i dati del report 2023 di We Are Social ci dicono che il primo motivo per cui gli italiani tra i 16 e 64 anni usano i social media è quello di “ascoltare nuove storie”.

Per la precisione, il 47,6% degli italiani utilizza i media sociali per incontrare, conoscere e fare parte di nuove narrazioni. E se tra tutte queste narrazioni gli italiani incontrassero anche la “Buona Novella”?

guarda il videohttps://youtu.be/tM_enQDc4AU