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Ci vuole una legge
Sono mamme, papà, mogli, figli, fratelli, sorelle, nipoti. Assistono in casa, tutti i giorni, un loro parente disabile, anziano non autosufficiente o affetto da una malattia cronica invalidante. Accudiscono, vestono, lavano, imboccano persone che non riescono a farlo da sole. Con notti insonni, corse in ospedale e carrozzine da portare. Si chiamano “ caregiver familiari” e sono, di fatto, dei “volontari” generosi e senza alternative, costretti a sostituirsi alla mancanza di servizi socio- sanitari sul territorio. In Italia se ne contano 7,3 milioni: un esercito nascosto, senza aiuti economici, e senza una legge che li tuteli.
Ma qualcosa si sta muovendo: nell’ultima settimana di questo mese la Commissione Lavoro del Senato comincerà a discutere il disegno di legge n. 1461, testo unico firmato da senatori di tutti i gruppi, che prevede il riconoscimento e il sostegno a chi svolge questo ruolo. I soldi ci sono già: il Fondo appositamente istituito ammonta a 65 milioni per il triennio 2018-2020. Risorse “congelate”, però, finché non c’è la legge. «Una cifra inadeguata, che non tiene conto delle effettive necessità» è il giudizio di Alessandro Chiarini, presidente del Coordinamento nazionale Famiglie con Disabilità (Confad), che definisce il ddl «pressapochista e lontano anni luce dal fornire risposte serie e concrete al problema». «Da parte della classe politica finora c’è stato un muro di indifferenza – prosegue Chiarini – perché si considerano ancora i caregiver come dei volontari senza sapere che molti vivono in povertà perché costretti a lasciare il loro lavoro per dedicarsi a tempo pieno all’assistenza del congiunto, un’attività massacrante, anche psicologicamente».
E chi si ammala non ha alcuna copertura assicurativa. «Anche su questo il ddl non comprende misure concrete» sostiene l’associazione, che chiede di migliorare il testo legislativo introducendo quattro punti a favore del caregiver: contributi figurativi equiparati a quelli dell’operatore socio-sanitario e possibilità di prepensionamento; un assegno per chi non può condurre un progetto di vita indipendente; snellimento delle procedure burocratiche per il proprio assistito con percorsi preferenziali nelle strutture sanitarie e riduzione dei tempi di attesa per visite ed esami; la possibilità di lavorare usufruendo delle varie forme di smartworking. Se per il Confad il disegno di legge è «un’odiosa beffa», per la Fish (Federazione italiana per il Superamento dell’Handicap) in questa fase dell’iter serve soprattutto «prudenza».
«Aspettiamo di essere coinvolti nel dibattito che, speriamo, si aprirà presto» commenta il presidente Vincenzo Falabella. «Bisogna dare ai familiari la possibilità di fare una scelta senza essere costretti a diventare per forza caregiver – prosegue – continuando però il proprio progetto personale di vita nella certezza che il proprio caro è assistito adeguatamente ». Ma come? «Usufruendo di strutture e servizi, per esempio». Per la Fish la legge deve allargare la prospettiva, «considerare sempre le persone che assistono, anche se non sono dei familiari, nell’ottica più generale della sussidiarietà».
Non bisogna intervenire solo sull’emergenza, specifica Falabella, ma guardare anche al “dopo di noi” (termine col quale i genitori di persone con disabilità indicano il periodo che seguirà alla loro dipartita). «Il riconoscimento della figura del “ caregiver familiare” va nella direzione giusta – commenta il presidente di FederAnziani Senior Italia, Roberto Messina – e cioè quella di supportare le famiglie che si trovano a gestire il grave problema della non autosufficienza e che fino a oggi sono state abbandonate a loro stesse». Ma questa legge non basta, sostiene la federazione che riunisce le associazioni della terza età: «Serve una riforma che comprenda anche una revisione dell’indennità di accompagnamento che oggi risulta uno strumento rigido e obsoleto, soprattutto economicamente inadeguato, considerando che si tratta di appena 500 euro». FederAnziani propone un’indennità commisurata alla gravità della non autosufficienza.
E le Regioni, a cui competono gli interventi concreti in materia? Sono poche quelle “attrezzate”. In Emilia Romagna dal 2014 è in vigore una legge regionale (la prima in Italia) che prevede interventi per circa 7 milioni a favore delle persone che prestano volontariamente cura e assistenza a parenti, comprendendo anche una “rete” per non farli sentire soli. Aspetto da non sottovalutare. «Sono importanti il sostegno e l’empatia tra colleghi, la possibilità di avere aiuto e consigli da chi vive nella stessa situazione – precisa Loredana Ligabue, dell’associazione Carer (Caregiver familiari Emilia Romagna). La simbiosi con il malato è quasi inevitabile, ma porta allo svuotamento del caregiver, che mediamente svolge ogni giorno 7 ore di assistenza diretta e 11 di indiretta. La sofferenza psicologica è forte e va alleviata». Quanto tempo ci vorrà per approvare il provvedimento? «Spero meno di 6 mesi in Senato, intanto chiederemo una relazione tecnica per ottenere più risorse finanziarie» commenta la senatrice Anna Maria Parente (Iv), tra i relatori del ddl.
Chi sono e cosa prevede il testo
Il disegno di legge 1461 si compone di 11 articoli, interamente dedicati al «caregiver familiare». Cosa si intenda con questa figura lo spiega l’articolo 2, quando parla di «persona che gratuitamente assiste e si prende cura in modo continuativo del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto», e lo stesso vale se ad aver bisogno è un familiare o un affine entro il secondo grado, e ancora – qualora non sia ricoverato a tempo pieno – «un familiare entro il terzo grado, che, a causa di una malattia, anche oncologica, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé», e dunque «sia riconosciuto invalido».Per tutti coloro che si prendono cura di queste persone, il ddl istituisce una serie di agevolazioni professionali, fiscali, previdenziali e sociali, ma senza un intervento retributivo diretto in grado di parificare la loro attività a una vera e propria occupazione. Qualche esempio: il caregiver familiare, secondo il testo, ha una priorità nella scelta del luogo in cui lavorare, e – compatibilmente con esigenze della sua attività – può chiedere di conciliare l’orario professionale con le necessità della persona che assiste. Nello stesso spirito, per le attività di cura e assistenza, è prevista una detrazione del 50% dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, pur con un tetto massimo di 10mila euro all’anno. E ancora, il caregiver disoccupato vede riconosciuta l’attività assistenziale nella forma dei contributi figurativi, come fosse un lavoratore domestico, ma con il limite massimo di tre anni. Infine, chi compie questa forma di servizio – sempre secondo la bozza normativa – è menzionato nei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) e nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), potendo così beneficiare, tra i diversi sostegni, di consulenze per l’andamento della vita domestica, di supporto psicologico e pure di visite mediche a domicilio (quando però dimostri di non poter abbandonare, seppure temporaneamente, il proprio assistito). La nomina del caregiver – uno per soggetto bisognoso – spetta alla persona di cui egli si sta prendendo cura. (Marcello Palmieri)