Chiara Lubich verso la beatificazione

È un primo passo. Però importante. Decisivo. Di quelli che in montagna segnano il ritmo, così che, dopo, salire sembra più facile. Il 10 novembre, alle 16.30 nella Cattedrale di San Pietro, a Frascati, il vescovo monsignor Raffaello Martinelli ha concluso la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione di Chiara Lubich.

Significa che dopo quasi cinque anni di raccolta di documenti e testimonianze, l’iter “processuale” proseguirà in Vaticano. Sarà la Congregazione delle cause dei santi a indagare sull’eroismo delle virtù della fondatrice del Movimento dei Focolari. E, nel caso venga accertato un miracolo per sua intercessione, a chiedere al Papa di proclamarla beata. Com’è evidente si tratta di tappe da coniugare al condizionale. A partire però da alcune certezze: circa la fedeltà al Vangelo in Chiara Lubich non c’era differenza tra l’immagine pubblica e la vita privata. E poi, tutta la sua esistenza è stata proiettata verso l’esterno, nel segno del dialogo, dell’incontro. Ha vissuto la stessa chiamata alla santità come un dono di Dio da condividere con gli altri, da far maturare anche in loro.«Ho conosciuto Chiara Lubich da ragazzo – spiega Waldery Hilgeman 38 anni, olandese, vicepostulatore della causa di beatificazione della fondatrice del Movimento dei Focolari –, avrò avuto dieci anni, quindi con la maturità di quell’età, nel pieno dell’entusiasmo della vita. Fui attratto da un gruppo di ragazzi che avevano aderito e cercavano di vivere il carisma dell’unità. Il primo contatto da vicino risale invece a molti anni dopo. Nel dicembre 1998 ero a Loppiano per partecipare a una scuola internazionale di giovani e lei venne a conoscerci, a salutarci, a parlarci della sua esperienza. Fu un incontro affascinante, con una persona che veramente ti catturava e ti proiettava in Dio».

Approfondendo la sua vita attraverso i documenti e le testimonianze quale Chiara ha conosciuto?Io ho avuto il privilegio di crescere nel carisma dell’unità e quindi a mano a mano che passavano gli anni vedevo Chiara in modo diverso, non perché lei fosse differente bensì perché cambiava la mia maturità. In questo senso posso dire che avendo avuto il dono di collaborare al suo processo di beatificazione, leggendo le carte raccolte dagli organismi competenti, ho capito meglio che quello che si vedeva all’esterno lei lo viveva fino in fondo anche nel privato. Nelle scelte importanti come nei gesti semplici dell’esistenza quotidiana, dalla passeggiata ai momenti di incontro, era sempre alla presenza di Cristo.

UNA SANTA MODERNA

Il Vangelo vissuto nell’esistenza di tutti i giorni insomma.Proprio così, la sua era una santità nel quotidiano. All’Angelus del 1° novembre il Papa ci ha ricordato che i santi sono persone che Dio ha chiamato a vivere accanto a Gesù ma “con i piedi per terra”, che sperimentano la fatica quotidiana, i successi ma anche i dolori e i fallimenti. In questo senso Chiara si inserisce perfettamente in quella che potremmo definire la santità “moderna”, proposta dalla Chiesa, santità che è sì una vocazione ma anche un dono di Dio. Una chiamata che esige una risposta e Chiara l’ha fatto in modo radicale. E innovativo. Si è infatti impegnata per una santità che non riguardasse soltanto se stessa ma che coinvolgesse il maggior numero possibile di persone. La cosiddetta santità collettiva, che lei fino all’ultimo ha cercato di realizzare attraverso il carisma dell’ut omnes (Gv 17,21), il carisma dell’unità. Significa che io insieme a un’altra persona possiamo rendere “visibile” la presenza mistica di Gesù in mezzo a noi, che la santità si realizza camminando mano nella mano verso Dio.

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