Bellezze toscane: la grotta del vento

Quest’estate il vescovo Simone è stato invitato a Vergemoli per la festa patronale. In quest’occasione ha incontrato Vittorio Verole-Bozzello direttore della Grotta del Vento che ha appena pubblicato un libro sulla storia e le bellezze della zona, per farle conoscere e invitare a visitarle chi non ha avuto ancora il piacere di farlo. Lo abbiamo intervistato.

La Garfagnana è un luogo ricco di storia e di bellezze naturali. Ci può descrivere questa zona?

Dal punto di vista morfologico i due gruppi montuosi sono completamente diversi tra loro. Mentre l’Appennino è caratterizzato quasi ovunque da profili dolci, ampi pascoli ed estese foreste, le Alpi Apuane, come si deduce dal nome, sono molto più aspre, con strette vallate sovrastate da ripidi versanti rocciosi, in parte rivestiti da fitti boschi, e dominate dalle creste marmoree e dalle cuspidi aguzze di montagne particolarmente spettacolari. In molti tratti i torrenti scorrono sul fondo di gole strette e profonde, fiancheggiate da imponenti pareti calcaree. Quasi ovunque sono presenti vistose manifestazioni del fenomeno carsico, sia superficiale che sotterraneo. Se venissero adeguatamente valorizzate, molte di queste attrattive paesaggistiche e geomorfologiche potrebbero assumere in breve tempo un’importanza internazionale, come già sta avvenendo nel caso della Grotta del Vento.Nel versante appenninico i maggiori punti di attrazione naturalistica sono il Parco dell’Orecchiella e l’Orrido di Botri, entrambi situati all’interno di “isole calcaree” circondate dalle arenarie. Il primo è un parco faunistico e naturalistico dotato di un centro visitatori con annessa struttura museale, nella quale si possono ammirare dei diorami che presentano con sorprendente realismo alcuni aspetti peculiari del territorio. Il secondo è un lungo e imponente canyon fiancheggiato da altissime pareti rocciose, sul fiondo del quale, attraverso una lunga serie di gole strettissime, scorre un torrente caratterizzato da una lunga serie di cascatelle e di limpidi laghetti.I paesi, per lo più situati in posizione dominante su modesti rilievi o, più di rado, appollaiati sul fondo delle valli, hanno spesso un’origine medievale. Le abitazioni, caratterizzate da linee sobrie ed essenziali, sono quasi tutte in pietra. Molto diffusi gli edifici religiosi, alcuni dei quali conservano intatte anche all’interno le linee semplici ed austere dello stile romanico. Tra questi meritano una particolare menzione il magnifico duomo di Barga, la pieve di Loppia, il duomo di Gallicano, la pieve di Santa Maria e la torre campanaria di Diecimo, oltre a varie chiese situate nel comune di Bagni di Lucca. È oggetto di particolare devozione il santuario di San Pellegrino, situato a 1525 metri d’altezza sull’Appennino, che all’interno di una pregevole teca di cristallo, opera di MatteoCivitali, ospita le mummie dei santi Pellegrino e Bianco. In un recente passato era altrettanto frequentato da fedeli e turisti l’Eremo di Calomini, pittoresco santuario rupestre in parte scavato nella roccia alla base di un’imponente parete rocciosa. Ben visibile dalla strada che da Gallicano conduce alla Grotta del Vento, purtroppo da diversi an i è quasi sempre chiuso. Peccato, perché in questo modo la Garfagnana ha perso una delle sue maggiori attrattive, sia sotto il profilo turistico che sotto quello religioso. La particolare suggestione del luogo è infatti tale da poter avvicinare alrichiamo della fede anche i visitatori meno sensibili. Un altro singolare edificio religioso è l’eremo di San Viano (o Viviano), aggrappato a una parete rocciose del Monte Tambura, nel comune di Vagli Sotto.

Numerose le fortificazioni, talvolta ridotte allo stato di ruderi, risalenti all’epoca della dominazione estense sulla Garfagnana. Da alcuni anni è stata restaurata e aperta al pubblico la fortezza delle Verrucole, situata su un colle che domina quasi tutta la valle del Serchio. Nel suo interno il personale, che indossa abiti rinascimentali, presenta al pubblico la fedele ricostruzione di alcuni aspetti della vita di tutti i giorni relativa a quel periodo storico. La Fortezza delle Verrucole è una delle massime attrattive della valle del Serchio, seconda per numero dei visitatori solo alla Grotta del Vento.

Tra le zone montane della Toscana, sicuramente la “Garfagnana – Media Valle” è la più frequentata, anche se le sue enormi potenzialità sono sfruttate solo in minima parte. Basta fare un raffronto con la “Val di Fassa – Val di Fiemme”, in provincia di Trento, che pur offrendo punti d’interesse di tipo diverso, ha più o meno lo stesso potere attrattivo. Nella valle trentina ci sono quattrocento alberghi, decine di impianti di risalita, e una viabilità ampia e scorrevole, facilitata dalla presenza di numerose gallerie che la collegano alle grandi vie di comunicazione. Nella valle del Serchio la viabilità è precaria (anche quella di avvicinamento), manca un collegamento veloce con la Versilia, principale bacino d’utenza per il turismo della Garfagnana, ed i potenziali punti di attrazione sono pressoché ignorati, privi di indicazioni o di qualsiasi facilitazione d’accesso. Gli alberghi sono si e no una trentina. Numerosi invece i ristoranti, alcuni dei quali, oltre ad offrire un’ampia scelta di cibi, sono particolarmente famosi per l’ottimo rapporto qualità-prezzo.

Com’è nata l’idea del libro?

Questo volume (240 pagg.), riccamente illustrato da centinaia di foto e da numerose cartine, non è di recente pubblicazione, in quanto la sua prima edizione risale a 25 anni fa (1997) e l’ultima, ormai esaurita nella lingua italiana, è attualmente disponibile solo in inglese e in tedesco. È allo studio una nuova edizione, che ovviamente necessita di numerosi aggiornamenti. Probabilmente, a causa delle mutate abitudini dell’utenza, verrà commercializzata solo in formato digitale, come e-book. L’idea del libro è nata dalla constatazione che sul mercato le uniche guide disponibilierano esclusivamente fotografiche, con brevi testi che, al di là di qualche cenno storico, lasciavano poco spazio agli aspetti paesaggistici, morfologici, geologici, e naturalistici.Proprio quelli che, nel loro insieme, costituiscono l’attrattiva che maggiormente può contribuire allo sviluppo economico ed occupazionale della valle del Serchio e delle Alpi Apuane.

Le grotte del vento in particolare sono una meta molto suggestiva. Qual è il suo lavoro? 

Con la valorizzazione della Grotta del Vento, più che un imprenditore, sono divenuto uno “speleologo a tempo pieno”. Effettivamente sono una delle poche persone che in Italia è riuscita a fare della speleologia una professione. La mia attività speleologica è iniziata all’età di appena quattordici anni, quando con alcuni amici raggiungevamo le grotte del Monte Pisano e delle colline lucchesi in bicicletta, indossando goffe tute militari e pesanti elmetti metallici, usando funi di canapa e scalette di corda i cui gradini erano stati realizzati con manici di scopa.All’età di 17 anni, fondai il Gruppo Speleologico Lucchese del C.A.I., che a quel tempo operava soprattutto in cavità non particolarmente profonde, situate sul Monte Pisano, sulle Alpi Apuane e nelle “isole” calcaree dell’Appennino Tosco Emiliano.

Com’è nata l’idea di valorizzare la Grotta del Vento?I resoconti sulle nostre esplorazioni apparivano spesso sui quotidiani locali (allora lavoravo come pubblicista per “La Nazione”). Dalle domande che ci venivano poste mi resi subito conto di come fosse difficile raccontare le grotte, in quanto tra il mondo sotterraneo e quello di superficie ci sono ben pochi termini di paragone capaci di dare un’idea accettabile di ciò che può essere una cavità naturale. Ed anche le numerose diapositive che proiettavo durante le conferenze non erano sufficientemente esplicative: mancavano infatti alcuni elementi essenziali quali l’alito fresco ed umido delle correnti d’aria sotterranee, il suono delle gocce, la mancanza di odori, la percezione del vuoto. Fu così che maturò nella mia mente l’idea di “portare la gente in grotta”: l’unico modo per per rendere partecipe il pubblico delle sensazioni, spesso entusiasmanti, che solo il mondo sotterraneo nella sua reale dimensione può trasmettere. In quel periodo alternai le esplorazioni con la visita di diverse grotte attrezzate per il turismo sia in Italia che all’estero, ma rimasi deluso dalla scelta degli ambienti e dalle spiegazioni fornite dalle guide. Dagli ambienti perché venivano attrezzati solo tratti più meno orizzontali e ricchi di concrezioni calcaree che, mancando il vuoto degli abissi e in assenza di morfologie diverse da quella “matura”, davano un’idea solo parziale e fuorviante di ciò che in realtà gli speleologi incontrano abitualmente durante l’esplorazione dei sistemi carsici più complessi. Le spiegazioni, riguardanti quasi esclusivamente le concrezioni calcaree, si limitavano alla pareidolia, alla ricerca cioè di somiglianze, spesso sin troppo fantasiose e soggettive, tra queste formazioni ed oggetti o personaggi noti, snocciolando per tutta la visita uno sterile elenco di “figure” quali la “torre di Pisa”, il “castello incantato”, “lo gnomo”, la “Madonna col Bambino”, “il gufetto”, …e via dicendo.

Avevo al mio attivo l’esplorazione o la visita di circa quattrocento grotte quando nel 1964 iniziai l’esplorazione della Grotta del Vento, allora ostacolata da numerose strettoie, forti dislivelli e diversi sifoni che durante e dopo le piogge più intense si allagavano bloccando il passo per lunghi periodi. Fu amore a prima vista. Finalmente avevo trovato la grotta che cercavo da tempo. Le sue caratteristiche superavano di gran lunga i miei sogni più ottimistici. La Grotta del Vento possedeva tutti i requisiti di cui avevo bisogno per spiegare al pubblico il carsismo profondo nella sua completezza, per illustrarne tutte le fasi evolutive, per comunicare agli altri la mia passione ed il mio entusiasmo per il mondo sotterraneo. Espletato un iter burocratico molto complesso, detti inizio ai lavori l’anno successivo, e alla luce di pesanti e maleodoranti lampade a gas, aprii il pubblico il “primo itinerario” nel giugno del 1967, in concomitanza col mio matrimonio. Ebbi la fortuna di trovare in mia moglie una validissima collaboratrice che non cessò mai di incoraggiarmi e di sostenermi durante i momenti più difficili, che non furono certo pochi.

Successivamente attrezzai per le visite il “secondo itinerario”, un prolungamento del “primo” che scendeva fino ad un modesto fiume sotterraneo, mostrando aspetti morfologici fino a quel momento preclusi altrove alle visite turistiche. Nel 1974 procedetti all’apertura di una strada carrozzabile che da Fornovolasco conduce alla Grotta del Vento. Nello stesso anno diedi inizio alla costruzione del grande edificio che ospita la biglietteria, il bar, il negozio di minerali e fossili, una sala polivalente, gli uffici direzionali e la mia abitazione.Nel 1982 portai a termine i lavori di allestimento del “terzo itinerario” (visita completa) che comprende la parziale risalita di un pozzo verticale di 90 metri. Questo itinerario, che si percorre in tre ore, è per durata il più lungo d’Italia, e sicuramente il più vario, poiché attraversa tutta una serie di ambienti profondamente diversi l’uno dall’altro. Per realizzare i sentieri del secondo e del terzo itinerario, spesso aggrappati alle pareti rocciose su profondi strapiombi, sono state superate enormi difficoltà, mai affrontate prima in altre grotte turistiche.Si tenga presente che l’esecuzione di tutti questi lavori (compresa l’apertura della strada d’accesso) è stata fatta a mie spese, via via che me lo potevo permettere, senza alcun contributo da parte degli enti pubblici. Per procurarmi i fondi necessari ho dovuto rassegnarmi a vendere l’intero patrimonio immobiliare di cui ero in possesso: tre appartamenti, di cui due a Lucca ed uno a Lido di Camaiore.

Ci sono poi tante attività collaterali da fare oltre alla grotta e molti borghi nei dintorni da visitare.

Ci può raccontare un aneddoto legato alla grotta?Fine ‘800: sul fondo di un ripido canalone situato sul versante meridionale del monte Pania Secca alcuni giovani arrancano a piedi nudi sui massi calcarei bruciati dal sole d’agosto. Pochi metri ancora e, alla base di una paretina giallastra, in parte coperta dall’edera, si fermano davanti ad una capanna murata a secco e addossata alla roccia. Qui, nonostante la luce abbagliante, l’aria si fa più fresca e le pietre, gelide sotto la pianta dei piedi, alleviano il peso dell’afa. Pochi istanti ancora e il massiccio battente di castagno consunto dal tempo, mosso con forza dai ragazzi, ruota cigolando sui cardini di ferro e libera verso di loro una violenta ventata gelida che pare nascere dal nulla. La cosa non li stupisce, loro conoscono bene quel vento provvidenziale, quell’aria fresca e purissima che da secoli consente agli abitanti della vicina borgata di Trimpello di conservare a lungo le carni ed il latte, di mantenere fresche le verdure, la frutta e le bevande, di stagionare i formaggi e i salumi nella maniera migliore, anche quando altrove la torrida stagione estiva non lo consentirebbe. Ma anche se manca lo stupore, vi è comunque la curiosità, una forte curiosità che è andata crescendo assieme alla loro statura: da dove viene quel vento che i loro genitori e i loro nonni considerano semplicemente “un dono della Divina Provvidenza”? Il loro sguardo è fisso sulle fessure fruscianti che si aprono tra l’acciottolato della capanna e la roccia della parete…”e se provassimo a spostare qualche pietra? Ma cosa diranno i nostri genitori se lo verranno a sapere?”.

Dopo un’ora sono tutti al lavoro: coperti da ruvide maglie ancora olezzanti di pecora e coi piedi protetti da pesanti calzature con la suola di legno chiodato, spostano le pietre passandosele l’un l’altro e deponendole all’esterno della capanna. Man mano che la fessura si allarga, il vento aumenta e le mani si intorpidiscono per il freddo, ma la voglia di continuare aumenta perché, spostato un grosso masso, vedono sotto di se un vuoto oscuro nel quale vorrebbero calarsi ma non possono: il passaggio è ancora troppo stretto. Qualche sforzo ancora e, rimosso l’ultimo ostacolo, dopo aver dato un’occhiata alle tenebre sottostanti, si trovano a guardarsi smarriti, cercando negli occhi dei compagni il coraggio di calarsi nel buco soffiante. “…proviamo a buttare un sasso…”, “…però…, non sembra poi tanto fondo…, “…e se provassimo a calare una pertica?”. La pertica viene calata: neppure cinque metri; subito dopo qualcuno scende trepidante lungo il palo di legno. Toccato il fondo, dopo la fatica, l’emozione della scoperta, il timore dell’ignoto e l’eccitante sensazione di profanare qualcosa di proibito, un’amara delusione: i deboli raggi di luce provenienti dall’esterno lasciano scorgere il foro dal quale proviene sibilando il vento, uno stretto pertugio tra le pietre del fondo e quella che sembra la volta di una galleria. Sarà sì e no una spanna, e tentar di allargare quel foro sarebbe troppo difficoltoso perché non c’è spazio per spostare i sassi: non resta che rinunciare. “E se provassi io?”. La vocina proviene dall’orlo del pozzo; alla presenza della Bettina, una vivace bimbetta di quattro anni, nessuno ci aveva fatto caso, ma lei era lì sin dall’inizio ed aveva vissuto momento per momento tutta  l’avventura, prima assistendo alle operazioni di scavo, poi attraverso le concitate parole di quello che si era calato. Finalmente si presentava la sua grande occasione; fino a quel momento aveva provato un misto d’ invidia e di ammirazione per quelli che, essendo più grandi di lei, volevano entrare “nella casa delle fate”. Ora è lei che ha la chiave per entrare in quella casa e per tentar di svelarne i misteri; nel suo piccolo mondo fatto di mamma e papà, fratelli, amici e vicini di casa, lei è l’unica persona abbastanza esile da poter entrare in quel pertugio soffiante dove nessun altro essere umano ha mai messo piede, e questo la fa sentire “grande”, una sensazione eccitante che la riscatta dall’umiliazione di essere sempre stata “la più piccola”.

Qualche dubbio, da parte dei “grandi”, sull’opportunità di mandare la Bettina dove nessuno potrà soccorrerla in caso di necessità viene fugato dall’ardente smania di sapere cosa c’è “dall’altra parte”. La bimba si prepara a partire. I primi tentativi falliscono subito per l’impossibilità di accendere una candela, e soprattutto di mantenerla accesa con tutto quel vento. Qualcuno, guardandosi bene dal chiedere il permesso ai propri genitori, corre a casa e prende una lanterna di vetro, di quelle quadrate coi fori d’ aerazione, nella quale viene sistemata la candela. Finalmente Bettina si introduce nello stretto pertugio. La violenza del vento le agita i riccioli castani e minaccia più volte di spegnere la lanterna; mentre striscia, ventre a terra, lungo la breve strettoia, una goccia gelida e dispettosa le entra dal collo tra la pelle e i vestiti, aumentando l’intensità dei brividi che forse non sono solo di freddo. Ma la bimba non si perde d’animo e, tre metri più avanti, riesce a mettersi carponi, poi in ginocchio; l’ambiente, alquanto più ampio, è meno ventoso e più accogliente, anche se alcune ossa sul pavimento destano una certa apprensione, non meno di un viscido mostriciattolo simile a una lucertola marrone che fissa l’intrusa coi suoi enormi occhi sporgenti. Sul soffitto tondeggiante alcune gocce scintillano come brillanti e, più avanti, oltre una strettoia simile a quella appena percorsa, altre gocce, cadendo nell’acqua, svegliano strani echi che ne prolungano il suono. “Saranno le fate?”. E Bettina si sdraia di nuovo per scoprire la fonte di quei suoni melodiosi inoltrandosi nella seconda strettoia, ma ben presto l’incanto si trasforma in terrore: il vento, di nuovo impetuoso, penetra nei fori d’aerazione della lanterna e spegne la candela. Sono attimi interminabili d’angoscia, ma ben presto le voci dei ragazzi, allarmati dalle urla della bimba, la guidano nell’oscurità sulla via del ritorno; dopo pochi minuti la sua avventura termina tra le braccia degli amici che per qualche istante avevano temuto il peggio. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quei pochi metri percorsi da una bimba di appena quattro anni, nel secolo successivo avrebbero aperto la strada verso una nuova era nel futuro turistico, socioeconomico ed occupazionale della valle del Serchio.

Per sapere tutto sulle grotte www.grottadelvento.com

Guarda le foto delle Grotte, dell’Eremo di Calomini e dei dintorni

https://photos.app.goo.gl/cKMGpy7DPpmcmT9j9