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Avremo bisogno di umanità reale e non virtuale
Sto e stiamo vivendo quello che nessuno avrebbe mai immaginato, stiamo vivendo un’Italia e un mondo mai visti prima. Concluso questo momento, saremo più consapevoli che il mondo alla fine siamo tutti noi, nessuno escluso.
Ci stiamo rendendo conto che alla fine siamo davvero tutti uguali, tutti sullo stesso pianeta, tutti in pericolo per lo stesso virus, tutti chiusi nelle proprie case indipendentemente dal sesso, colore della pelle, dalla religione e dalla ricchezza.
L’essere umano in queste ultimi anni è costantemente a cercare la comodità del “tutto a portata di mano” ma, ora più che mai, l’uomo ha capito che la vita è anche fuori dalle proprie mura di casa.
Può essere paragonato ad un uccellino in gabbia, un uccellino che sente la necessità di uscire, di volare nel cielo azzurro e di sentire il tiepido sole primaverile che lo riscalda, di respirare a pieni polmoni l’aria …
Finito questo brutto periodo penseremo cose diverse rispetto a prima, sentiremo cose diverse: cambieremo idea sull’importanza della famiglia, ciò che prima ci sembrava noioso e scontato ora sarà l’immagine della felicità.
Avremo voglia di sorrisi veri, di sguardi sinceri, di contatti fisici, di stringere una mano oppure cercare rifugio in un abbraccio.
Avremo bisogno di umanità reale e non virtuale.
Saremo uniti da un ricordo indelebile: tramanderemo le nostre storie perché non accada mai più che si perda di vista l’indispensabile per far spazio all’egoismo individuale.
Ormai è passato un po’ di tempo, precisamente più di un mese, da quando i nostri sguardi si sono incrociati per l’ultima volta con i nostri familiari, amici, compagni di classe e professori.
Un mese senza quei gesti che compivamo ogni giorno come se fossero solo un’abitudine ma in realtà erano un bisogno, e quando quel bisogno è tornato a farsi sentire abbiamo inventato nuovi modi per colmarne l’assenza.
Ammettiamolo, siamo realmente degli esseri intelligenti: siamo riusciti ad arricchire la vita monotona e sedentaria senza farci mancare niente.
Ho imparato a dire “ti voglio bene” davanti ad una telecamera, a fare gli aperitivi con gli amici usando un cellulare, ho imparato a festeggiare i compleanni a distanza cantando “tanti auguri” ad un microfono che porta la mia voce al cuore della persona a cui teniamo e a cui vorremmo essere vicino in questo momento.
Ho imparato a studiare e seguire le lezioni scolastiche da casa, a partecipare a lezioni di yoga online, a cucinare la pizza fatta con le mie mani e con un piccolo aiuto dei genitori.
Ho colmato parte delle mie giornate ad ascoltare le storie della mia bisnonna ultranovantenne sempre in gamba; una storia in particolare mi ha fatto capire che ci sono stati molto peggiori di questo.
Mia nonna ha raccontato di essersi rifugiata, con la propria famiglia, all’interno di un bunker sotterraneo per 40 giorni consecutivi per proteggersi dai continui bombardamenti della Seconda guerra mondiale; più di un mese senza vedere la luce del sole, senza respirare aria fresca, senza un letto comodo e caldo in cui dormire.
Come possiamo lamentarci noi di trascorrere più di un mese nelle proprie case? Con 4 pasti al giorno? Con la possibilità di effettuare videochiamate per “vedere” i propri parenti, amici?
Lei ha affermato di essere stata mesi senza ricevere notizie o lettere dai propri familiari, scappati e nascosti non si sa bene dove.
Io, personalmente, mi sento fortunata a passare una “quarantena” così …
In questo periodo ho imparato a proteggere noi stessi e gli altri; non è facile assimilare l’idea di dover abituarci ad indossare la mascherina quotidianamente, come un vero e proprio capo d’abbigliamento … avevo l’obbligo di indossare la mascherina solo durante le ore di microbiologia a scuola.
Questo periodo, ci ha anche aperto gli occhi sull’impatto terribile che l’uomo ha sull’ambiente e sugli animali: sono rimasta sbalordita dal vedere le foto, che girano su internet, dell’acqua pulita e cristallina dei canali di Venezia.
Queste immagini ci devono far pensare e ricordare ogni giorno che noi esseri umani non siamo padroni di questo mondo; siamo solo suoi ospiti e come tali dobbiamo rispettare e salvaguardare la “padrona di casa”.
In un momento così difficile quando apro gli occhi ogni mattina ricordo di essere viva, ricordo chi ho perso, chi ho ancora al mio fianco e cosa posso fare della mia vita.
A fine quarantena avrò migliaia di eventi da recuperare: dalle visite mediche alle visite ai propri parenti, dalle bracciate di Pasquetta e del primo maggio saltate ai pomeriggi passati a camminare sulla spiaggia, in montagna, nelle città d’arte.
Bisogna recuperare il tempo perso, le carezze, le coccole e anche gli abbracci consolatori che non ho avuto la possibilità di dare prima.
La sera tra il 28 e il 29 marzo ho perso un amico molto caro, un gran guerriero che lottava da ben due anni contro un tumore al cervello. Nonostante non lo conoscessi da molto tempo, la notizia della sua scomparsa è stato un duro colpo per me ma certamente non paragonabile al dolore sofferto dai miei amici.
In situazioni come questa; la diffusione di questo virus non ci ha permesso di recarci a Milano per poterlo salutare un’ultima volta ma soprattutto non abbiamo avuto la possibilità di riunirci tutti insieme dopo aver ricevuto l’orribile ma inevitabile notizia: la miglior cura, per alleviare temporaneamente il dolore, sarebbe stato un abbraccio sincero.
La sera del 29, dopo un lungo giorno di silenzio, ci siamo tutti riuniti in videochiamata per pensare a un modo per poterlo ricordare a dovere: abbiamo pensato a un memorial.
Finito questo periodo, ci muoveremo tutti per organizzare questa giornata in suo ricordo; se la merita davvero.
Proprio come ha detto Papa Francesco: “Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta. Essere felici significa non solo godersi il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza.”
Parole sante. Non possiamo vivere senza la felicità perché sennò non avremmo la capacità di apprezzare realmente il dono della vita.
Una giovane studentessa dell’ITS