Diocesi
Auguri don Gigi
Don Gigi Zoppi, sacerdote salesiano, molto conosciuto in città per le sue opere caritative, ha recentemente compiuto novant’anni, essendo nato il 10 agosto 1931, giorno dedicato a San Lorenzo. Lo abbiamo incontrato per fargli gli auguri e rivolgergli alcune domande.
Cosa ricordi con più piacere di questi novant’anni? Mi piace ricordare le esperienze che ho fatto nelle periferie della vita e delle città. Esperienze di grandi sacrifici ma anche di grandi soddisfazioni. Il Vangelo ha ragione quando lo si vive nelle realtà più difficili, in quelle realtà i conti non tornano mai come accade nella matematica. Ho incontrato tanti ragazzi che come me erano rimasti orfani, che sentivano la necessità di un sostegno e di essere ascoltati. Ho seguito l’insegnamento di don Bosco che ci ha sempre raccomandato di “fare famiglia” incontrando sempre le persone, e per me gli incontri per superare il disagio dei giovani è stata la cosa più bella che potessi fare.
Cosa ha significato per te essere sacerdote e sacerdote salesiano? Essere salesiano mi ha messo nella condizione di restituire quello che io avevo ricevuto dagli stessi salesiani quando ero un ragazzo. Ero chiuso in casa, in me stesso, con una mamma che in effetti non conoscevo, la mia vera mamma era deceduta proprio nel giorno della mia nascita, vivevo nella solitudine e la mia vita rischiava di essere molto triste. Un bel giorno i salesiani tornarono nel mio paese, Figline Valdarno, e io trovai la gioia di vivere l’amicizia con i miei coetanei e con i salesiani, sempre disponibili, accoglienti, allegri, che offrivano il gioco, il dialogo, la preghiera. Come sacerdote salesiano mi sono fatto partecipe verso i ragazzi di una paternità che va oltre l’aspetto fisico, il sangue, e fa scoprire le vette più alte del vivere umano, che sono quelle della sequela al Vangelo.
Cosa ci racconti della tua amicizia con don Gallo, un sacerdote impegnato nel sociale, ma molto fuori dalle righe e critico del sistema? Don Andrea è stato chierico tirocinante come me in quel di Sampierdarena dove assistevamo varie centinaia di ragazzi, studenti e artigiani, ma non eravamo soddisfatti del chiuso dell’Istituto. Ricordo di aver partecipato, in quei tempi, sotto la guida di don Milasso, allora assistente delle Acli, alle elezioni del Sindaco di Genova, anche perché il nostro servizio educativo non poteva che nascere nel contesto della città e dalle risposte ai suoi bisogni. Il collegio salesiano era ricco di figli di poveri e di orfani. Ricordo una notte in cui, vestiti da prete, andammo ad attaccare i manifesti del “partito dei preti”, la Democrazia Cristiana, una cosa incredibile per il futuro contestatore don Gallo!Ho sempre ammirato don Andrea per le sue scelte radicali, per la sua fede, per il senso sociale e politico rivolto ai poveri e agli ultimi. Anche quando ha deciso di staccarsi dalla nostra Congregazione per andare alla Garaventa, una nave in cui si curavano i ragazzi in difficoltà, sono rimasto profondamente legato a lui. Ci siamo poi ritrovati nel CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) di don Ciotti, per vivere le iniziative portate avanti da ciascuno di noi. Andrea la Comunità di San Benedetto al Porto a Genova, ed io il Ceis di Livorno, con una visione nazionale dei problemi, soprattutto quelli del disagio giovanile e purtroppo anche quello della droga di massa nascente.
Il tuo impegno più importante è stato il Ceis, come mai l’hai chiamato così? Ceis significa Centro Italiano di Solidarietà, l’ho chiamato così perché in un certo senso la solidarietà era di moda, soprattutto legata con le vicende polacche di quel momento, le lotte operaie di Solidarnosc. Il senso ampio di quella parola vuole dimostrare la vicinanza ai giovani che, per vari motivi, per le tante fragilità che li colpiscono sono in difficoltà. Perciò mi sento di ringraziare il Ceis che mi ha dato la possibilità di “vivere il Vangelo vissuto”!