Aborto

Ha seguito il dibattito sulle nuove linee guida per la somministrazione della pillola abortiva, letto gli interventi di fautori e critici, ha riflettuto e si è confrontato. E infine ha messo mano, ieri, a una nota come presidente della Pontificia Accademia per la Vita nella quale denuncia il «più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale» come l’interruzione di gravidanza e chiede di «non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso» sulla donna e la vita. Anche monsignor Vincenzo Paglia scende in campo su un nodo delicato quanto cruciale come le modalità con cui si abortisce – oggi, e ancor più domani – nel nostro Paese.

Cos’ha pensato dell’annuncio di nuove linee guida sulla Ru486 e del dibattito di questi giorni?Mi sono detto che una volta ancora tutto il peso di una decisone comunque difficile e fisicamente dolorosa viene gettato sulle spalle delle donne, meglio, di quella singola donna. Viene lasciata sola da una procedura “farmacologica” che incide fortemente nel suo corpo e nel suo animo. Sappiamo che si tratta di un dramma terribile per le donne, per un evento spesso più subìto che scelto. La misericordia evangelica ci dice che la prossimità alle donne non può essere allentata.

Ma i fautori delle nuove regole sostengono che è proprio alla loro salute che si è pensato introducendole…Mi sembra che con queste linee guida si renda ancora più “privata” e “solitaria” la scelta di abortire. Questo è il vero tema. Più volte ho parlato del dramma della nostra epoca come «il crollo del Noi». Qui il «Noi» continua a crollare. E la società che dovrebbe sostenere i suoi figli li lascia soli. Per questo si deve sottolineare che nelle linee guida si disattende la 194 proprio nella parte in cui valorizzava la prevenzione e il sostegno alle donne, per ridurre – e magari azzerare – il ricorso all’interruzione di gravidanza.

L’aborto con la procedura dei due farmaci – abortivo ed espulsivo – alla fine sortisce il medesimo effetto di quello chirurgico. Cosa differenzia allora il giudizio su questi due percorsi?Gli strumenti farmacologici lo rendono un percorso “più pulito”? Non credo, al massimo lo sottraggono alle relazioni. Lo rendono privo di rischi? Mi sembra che spostare in avanti i termini, dalla settima alla nona settimana, possa comportare un aumento di rischi e di stress per la donna, come implicitamente si riconosce quando si suggerisce come criterio di esclusione ansia e bassa soglia del dolore. Il giudizio sull’aborto, come sia, è sempre negativo. E senza equivoci.

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