Diocesi
A passo d’uomo verso il divino
L’ultimo libro pubblicato da mons. Ablondi si intitola “A passo d’uomo verso il divino” e porta la data di Dicembre 2009, pochi mesi prima che il vescovo Alberto ci lasciasse. È un libro di catechesi, che intende approfondire alcuni aspetti della fede, elaborato su una serie di pensieri scaturiti dalla quotidianità, dalla ricerca continua del rapporto tra uomo e Dio, una ricerca che interpella ogni persona, cattolici e non. In questi giorni in cui ricordiamo mons. Ablondi ci piace pubblicare la prima parte del capitolo dedicato al Dialogo, un aspetto che coinvolge l’umanità intera senza esclusioni. Per chi volesse leggere l’intero libro, in vescovado sono disponibili alcune copie.
1. Educare al dialogo per non scadere nel proselitismo
Nel nostro «cammino verso il Divino», abbiamo sostato di fronte alla parola, per contemplare la sua dimensione umana e divina. Questo però ci chiede di ripartire, per soffermarci di fronte a quella che è la dimensione più profonda, vitale ed unitiva, della parola: il dialogo.
Esso è un proprio dell’uomo che abbiamo detto «è parola», ma anche della comunità e della Chiesa, che in dialogo è mandata al mondo. Scopriremo così che il dialogo è vocazione nell’uomo, ma anche straordinaria avventura, che lo rende partecipe della creazione e fa dell’uomo una parola di Dio.
Esso è dono di un Dio che è parola, che si fa parola, che dà la parola. Si realizza così la vocazione ultima dell’uomo, che attraverso la comunicazione raggiunge e alimenta la comunione. Perciò credo che la parola «dialogo» debba essere privilegiata. IL proselitismo piuttosto rappresenta la sua degenerazione, una sorta di patologia, di negazione del dialogo che impoverisce e priva la parola della sua azione fecondante.
Attraverso il dialogo, la parola diventa invece mediazione che rivela la verità e provoca la crescita. Soprattutto ciò avviene quando la parola diventa unitiva, perché è un donarsi e non solamente un dire. Certo, anche il proselitismo è fatto di parole, ma vorrei dire – permettetemi l’espressione – si parla addosso. Il proselitismo è purtroppo l’erotismo del dialogo, perché nell’erotismo si usano gli stessi gesti dell’amore, ma senza storia: ogni gesto rimane chiuso in se stesso e non dà vita. Nel dialogo, invece, si realizza quella pienezza dell’amore, per cui io trovo veramente me stesso al di là di me stesso quando l’altro è diventato più importante di me.
Si capisce allora una bella espressione della Ecclesiam suam, l’enciclica di Paolo VI che privilegia la tematica del dialogo: «il clima del dialogo è l’amicizia, anzi il servizio». lo aggiungerei che il clima del dialogo è l’amicizia, anzi il servizio alla vita. Così il dialogo diventa la forma di comunicazione per eccellenza dell’uomo adulto in una società adulta.
2. Dialogo è servizio alla vita, partecipazione alla creazione
Ecco così un primo scorcio della fisionomia del dialogo: la dimensione umana di servizio, ma anche di partecipazione alla creazione. Vorrei ora aggiungere che il dialogo rientra nel disegno e nell’economia di Dio. Perché? Perché il dialogo sorge dall’alterità benedetta da Dio e sorge «dall’alterità benefica della creazione».
Pensiamo al libro del Genesi: è intessuto di crescita nella alterità. L’alterità comincia quando, nel capitolo I, si dà un habitat diverso ai «diversi» animali; poi appaiono «diversi» l’uomo e la donna (Gn 1,27). E ancora abbiamo l’alterità, quando in Genesi si presenta la divisione dei figli di Noè in nazioni diverse, e la Scrittura la presenta in una atmosfera che suscita calma e ammirazione.
Contemplando questi brani, comprendiamo che Dio non vuole la solitudine dell’identico e dell’omogeneo; difatti al capitolo IX è descritto il fallimento del tentativo rappresentato dalla torre di Babele: «Facciamoci un solo nome per non dividerci più», ma questo Dio non lo permette. È Dio che non vuole il livellamento, confonde le lingue, perché vuole l’alterità che si approfondisce e si staglia attraverso il dialogo. Perciò ci sentiamo invitati a contemplare l’uomo, «creato multiforme perché crescesse nel dialogo».
Il proselitismo non è tutto questo. Non coinvolge l’altro, non rispetta l’alterità, non cerca l’alterità, non si esalta per l’alterità. Per il proselitismo, l’alterità non è benedetta e benefica come Dio ha voluto, perché tende ad assorbire l’altro, se pur riesce a vederlo.
Vorrei ancora aggiungere che non solo il dialogo sorge dall’alterità benedetta e benefica della creazione, ma in un certo senso la continua. È continuazione della creazione, il dialogo, se è vero che il dirsi è un darsi per far sorgere una nuova creatura.
Non solo, il dialogo è certamente lo sviluppo della creazione, perché sviluppa tutte le potenzialità di questa, come si ottiene nelle Benedizioni. Mi piace pensare a un monaco orientale, il quale dice che le Benedizioni tirano fuori dalle cose tutta la potenzialità creativa, che Dio ha in loro inserito. Nello stesso modo, il dialogo tira fuori da una persona tutta l’energia creativa che Dio gli ha affidato. A volte questa, inconsapevolmente conservata, ha bisogno di essere risvegliata. Un caro amico diceva che, prima della communicatio in sacris, dovremmo avere la comunicazione in bonis, cioè nelle cose buone, nei valori naturali, creati e creativi, nelle cose sante, prima che nelle cose sacre. Quelle cose sante che Dio Santo ha posto insomma dentro di noi. Così il dialogo diventa un accogliere e provocare il bene che è nell’altro, e diventa uno scoprire quanto Dio ha seminato ovunque, proprio perché Lui ha sempre qualcosa da dire attraverso qualunque interlocutore.