La vigna del Signore

Il cantico della vigna di Isaia (Is 5,1-7) è uno dei brani più celebri dell’Antico Testamento: esso mette gli israeliti di fronte alle proprie responsabilità dinanzi a Dio; Egli si era preso cura di Israele e si attendeva dal popolo opere di giustizia e di carità, ma i cittadini hanno ricambiato provocando spargimenti di sangue e lamenti di ingiustizia (Is 5,7).

Il senso generale del cantico è quindi un’accusa, rivolta dal profeta, agli abitanti di Gerusalemme, i quali sono invitati ad un serio esame del loro rapporto con il Signore.

Dal punto di vista letterario Is 5,1-7 è senza dubbio un’unità letteraria, la cui forma, però, è ancora molto discussa[1]: secondo gli studi di P. Bovati, si tratta di una “parabola all’interno di un atto giuridico di accusa”[2], ovvero un espediente dell’accusatore che, rivestendo anche i panni del giudice, non espone direttamente l’accusa, ma la nasconde dietro un canto, costringendo l’ascoltatore a giudicare se stesso (esempi simili sono in 2Sam 12,1-15; 14,1-17; 1Re 20,35-43) .

Sin dall’inizio si tratta di un canto di un diletto riguardante la sua vigna, cantato da un altro: ma come è da intendere il riferimento alla vigna? In senso letterale, o in senso metaforico?

Il profeta costruisce la sua accusa agli abitanti di Gerusalemme servendosi di un canto di lavoro, la cui origine è forse da ricercare in occasione di una festa d’autunno, o un canto durante  vendemmia, o forse in occasione di un matrimonio.

Possiamo indicare tre possibili significati a questo canto: si tratta di un canto di lavoro che vuol riprodurre in maniera poetica la delusione di un agricoltore, che dopo molteplici fatiche ottiene dalla sua vigna solo acini acerbi. In questo caso possiamo interpretare i versetti 1b-2 proprio come l’effettivo lavoro di preparazione e costruzione di una vigna; ma è evidente, per la terminologia usata, che il profeta sta parlando di una vigna per indicare in realtà qualcos’altro, abbiamo allora un duplice simbolismo: la vigna come sposa, e la vigna come Israele.

La prima metafora richiama l’immagine della donna ingrata nel ricambiare l’amore e la fedeltà del suo sposo; il cantico, infatti, rimanda al senso traslato di vigna, utilizzato nel Cantico dei Cantici (cf. Ct 1,6; 7,9; 8,12) per indicare l’amata: il cantico descriverebbe così una delusione d’amore, o un matrimonio finito male. I primi versetti possono allora indicare le cure affettuose, le attenzioni amorose di cui una sposa ha bisognoso, nonché alludere alla sessualità femminile[3], mentre l’attesa per l’uva buona richiama la risposta d’amore che l’amante desidera dall’amata.

La seconda metafora è quella che viene svelata dallo stesso profeta al v.7: il proprietario è il Signore; Israele e Giuda sono la sua vigna più pregiata; i frutti attesi sono il diritto e la giustizia. In termini teologici, Dio ha riempito di benefici il suo popolo: si notano le sue attente cure, le sue fatiche, le sue attese e le sue speranze, che Israele ha sperimentato lungo la storia (cf. Sal 105).

Questa interpretazione del cantico è ripresa, con qualche modifica, anche da Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46): anche qui un uomo pianta una vigna, vi esegue tutti i lavori necessari, e attende i frutti del raccolto; ma ciò provoca il rifiuto da parte dei vignaioli (Israele), che uccidono prima i servi (i profeti), e poi suo figlio (Cristo).

In questa parabola, gli evangelisti Matteo e Marco (cf. Mt 21,33; Mc 12,1) descrivono il lavoro del viticoltore con gli stessi termini di Is 5,2 (piantare una vigna, circondare di siepe, scavare un torchio e costruire una torre

La parabola raccontata dai due evangelisti non è, comunque, una semplice ripresa del testo isaiano: l’accento, infatti, non si pone più sulla vigna che non porta frutto, ma si sposta sui vignaioli che si rendono colpevoli dell’assassinio del figlio, erede della vigna; per questo, forse, il parallelo lucano omette l’elenco dei lavori del contadino.

È molto interessante anche leggere il Targum di Is 5,2, che interpreta la costruzione della vigna in modo allegorico: Israele è la vite scelta che viene santificata e glorificata, e in mezzo ad esso viene costruita la torre, che è evidentemente il Tempio, posto al centro della Giudea. 

Non bisogna stupirsi del frequente uso di immagini agricole, come la vigna, per esprimere concetti astratti, come l’amore tra uomo e donna, o l’alleanza tra Dio e l’uomo: infatti, la vite è una pianta molto diffusa nelle terre bibliche e si adatta bene al clima della Palestina; inoltre per ogni israelita il lavoro nella vigna faceva parte della sua quotidiana vita.

Per approfondire

B.S. Childs, Isaia (Commentari Biblici), Brescia 2005.

B. Marconcini, Il libro di Isaia (1-39), Roma 1993.

L. A. Schökel –J. L. Sicre Diaz, I Profeti, Roma 1996.

[1] Willis enumera addirittura 12 generi diversi: cf., J. T. Willis, «The Genre of Isaiah 5:1-7» JBL 96 (1977) 337-362.

[2] P. Bovati, Così parla il Signore. Studi sul profetismo Biblico (Bologna 2008) 146.

[3] Il termine «vangare» allude alla donna che riceve il seme.