Diocesi
XXXI Giornata del Dialogo ebraico cristiano
Anche quest’anno si è celebrata la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei che qui a Livorno vede una presenza significativa non solo di persone ma anche di rappresentanti di varie Confessioni cristiane.
La Giornata ha avuto due momenti molto intensi, Un primo momento si è tenuto davanti alla Sinagoga dove il Rabbino ha letto un Salmo di lode e ringraziamento in ebraico. I rappresentanti delle altre Confessioni hanno letto altri due Salmi e poi sono state accese le luci della Kannukkya, simbolo di un fuoco che arde perennemente come segno di vita e di speranza. Il Vescovo Monsignor Simone Giusti ha sottolineato questo momento di preghiera come espressione di figli che riconoscono degno di lode il Creatore: “Colui che abita i cieli, l’Onnipotente, che ha parlato e ha mostrato il suo Amore. Quanto più cerchiamo di approfondire la sua Parola tanto più saremo capaci di camminare insieme e di rendere manifesto questo amore”.
Il secondo momento si è tenuto presso la sala della Banca di Credito Cooperativo Castagneto Carducci, gentilmente concessa dal Direttore Roberto Pullerà molto attento alle iniziative del Dialogo Interreligioso e che ha dato il saluto di benvenuto ai presenti. Il diacono Andrea Zargani ha moderato l’incontro.
In questa sede si è proceduto quindi al commento delle Meghillot (Cinque Rotoli) fermando l’ attenzione sul Cantico dei Cantici, libro dell’amore di Dio per il suo popolo, così almeno viene accettato da Israele nella Tanak, la Bibbia Ebraica. Il Rabbino Avraham Dayan, appena arrivato a guidare la Comunità ebraica Livornese, di provenienza israeliana di Bat Yam, ha tenuto il commento al Shir Ha-Shirim, Cantico dei Cantici, che si trova nella terza parte del Tanach, la Bibbia ebraica, cioè nei Ketuvim, gli Agiografi, ed è il primo testo fra le “Chamesh Meghillot “, i “Cinque Rotoli”, un testo molto difficile scritto da Salomone. Gli ebrei askenaziti lo leggono ogni sabato, quelli italiani dopo Pesach. Nella Bibbiaa ebraica questo libro non è stato inserito subito, ma è ritenuto sacro anche se non c’è il nome di Dio come nella meghillah di Ester. Perché Salomone quando ha scritto il testo non si riferiva all’amore tra uomo e donna ma tra il popolo di Israele e Dio.
Rav Dayan ha poi preso in esame il versetto dove al terzo capitolo si descrive la donna che ha cercato e non ha trovato: “è di sera che questo avviene perché come sappiamo la notte è tempo di oscurità difficile da capire, e tutto è oscuro e non si può vedere. Salomone dice che quando c’è l’oscurità e non c’è il miracolo si cerca il Signore. La notte è anche il momento più bello per studiare e ho la possibilità di cercare il Signore più facilmente……Noi dobbiamo cercare il Signore, non basta essere credente nel cuore, ma agire e ovunque tu sia, non basta cercare me seguire. Non essendoci più il miracolo e col nostro agire lo troviamo. Non dobbiamo quindi essere passivi, ma quando usciamo dal luogo di preghiera dobbiamo fare una buona azione.
Il Talmud dice: hai cercato, hai studiato non credi. Hai studiato ma senza la fatica; ancora non credi. Hai studiato e lavorato con tanta fatica allora hai trovato.
Quindi pregare e buon agire e cercare e mettere in pratica, solo allora troverai Dio”.Il poema d’amore del Shir Ha-Shirim continua ad accompagnare e ad interrogare la fede e la storia del popolo ebraico.
Il Professore Marcello Marino ha commentato per parte cattolica il testo e ha voluto ricordare come nella tradizione cristiana i termini riferiti alla corporeità per molti anni erano stati allontanati dalla riflessione. Dopo il Concilio.Vaticano II il Magistero ha dato dignità all’amore sponsale, specie con Giovanni Paolo II. Parlare dell’amore tra uomo e donna come unione benedetta da Dio vuol dire rifarsi alla tradizione rabbinica che vede in questo, Dio presente nella storia dell’uomo.
Le tradizioni giudaica e cristiana si trovano concordi nell’interpretare il Cantico come allegoria dell’amore del Signore per Israele oppure di Cristo per la sua Chiesa. La via allegorica è, in via di massima, la preferita in entrambe le tradizioni interpretative. Il rapporto di Israele con il Signore è letto a partire dall’amore dei due partner, descritto dalla poesia del testo. Ma il limite dell’allegoresi sta proprio nell’abbandonare troppo presto il significato letterale del testo, per la fretta di raggiungere il significato superiore. L’allegoria lega in modo fisso il ruolo, sclerotizzando il valore poetico del testo: Israele è il partner femminile del rapporto e il Signore il partner maschile. E il tipo di rapporto che Israele, partner femminile, ha con il signore, partner maschile, è assunto dalla relazione maschio-femminile del rapporto coniugale. Per evitare che l’allegoria diventi un’immagine impropria del signore, essa è mantenuta solo per questo mondo. Nel mondo futuro, anche Israele potrà assumere la caratterizzazione maschile, anzi potrà riassumere pienamente quell’originaria umanità che è maschio-femminile insieme.
Certamente la lettura troppo esegetica rischia di far perdere il suo significato e quindi bisogna avvicinarci a questi testo con molta attenzione; oggi ancora più di ieri, si ha la chiara impressione di essere solo sulla soglia della comprensione di questo libro scritturistico. Basti guardare, alle opposte soluzioni che sono date a riguardo dei molti problemi interpretativi. Il professore Marino ha proprio per questo motivo ricordato Diertich Bonhoeffer, morto ad Auschwitz che ben aveva compreso e così ha lasciato scritto all’amico Eberhard: «Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore, non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l’amore terreno, ma in certo senso come cantus firmus, rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto. Uno di questi temi contrappuntistici, che hanno la loro piena autonomia, e che sono tuttavia relazionati al cantus firmus, è l’amore terreno. Anche nella Bibbia c’è infatti il Cantico dei cantici, e non si può veramente pensare amore più caldo, sensuale, ardente di quello di cui esso parla (cf Ct 8,6!); è davvero un bene che faccia parte della Bibbia, come contrasto per tutti coloro per i quali lo specifico cristiano consisterebbe nella moderazione delle passioni (dove esiste mai una tale moderazione nell’Antico Testamento?). Dove il cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore. Per parlare con il Calcedonese, l’uno e l’altro sono «divisi eppure indistinti», come lo sono in Cristo la natura divina e la natura umana».