Diocesi
Matrimonio e Sacramento
Sono sempre più frequenti, nelle nostre parrocchie, i matrimoni celebrati tra una persona battezzata nella Chiesa Cattolica e credente ed una persona che, pur essendo stata battezzata nella Chiesa cattolica, non si dichiara più credente.
Queste fattispecie creano non poche difficoltà tra i Pastori, i quali da una parte si pongono il problema di quale percorso di preparazione proporre a questi nubendi, dall’altra si domandano che tipo di matrimonio celebrano e se assistono ad un matrimonio di fatto nullo, a causa della mancanza di fede di uno dei due nubendi. Una lettura errata delle riforme del processo di nullità introdotte da Papa Francesco (cf. Mitis Iudex Dominus Iesus, 8 settembre 2015, articolo 14 § 1) sembrava proprio andare in questo senso, ritenendo che la mancanza di fede potesse essere invocata come un nuovo capo di nullità del matrimonio.
È dottrina costantemente insegnata dal Magistero della Chiesa che la situazione soggettiva di fede del nubendo, non incide sulla validità del sacramento del matrimonio (cf. Familiaris consortio n. 68). Per comprendere tale affermazione bisogna anzitutto precisare che ciò che fa sorgere il sacramento del matrimonio è il consenso degli sposi, il quale consiste in un atto di volontà attraverso il quale si vuole costituire il patto coniugale (cf. can. 1057)[1]. Causa efficiente del matrimonio è la volontà, il consenso degli sposi, il quale si deve orientare verso una realtà ben precisa che è l’Istituto coniugale dotato di beni e fini, come voluto da Dio Creatore (cf. Gaudium et spes n. 48). Fa sorgere il matrimonio, quindi, non la fede degli sposi, bensì la volontà di sposarsi secondo il disegno di Dio sul matrimonio.
Se nel can. 1057 si stabilisce che il matrimonio sorge dal consenso manifestato dagli sposi, da questa affermazione di natura dogmatica, si evince anche che i ministri del sacramento del matrimonio sono gli stessi sposi. Gli sposi non solo sono destinatari del sacramento del matrimonio, ma sono anche i ministri dello stesso.
La teoria generale dei sacramenti, come precisata nel Concilio di Trento, ha sempre sostenuto che per la valida celebrazione dei sacramenti non occorre, né la fede del celebrante, né il suo stato di grazia. E’ necessario, per la validità, che il ministro faccia quello che intende fare la Chiesa quando celebra quel dato sacramento. Ex opere operato è un’espressione latina della dottrina cattolica sui sacramenti. Significa letteralmente “per il fatto stesso di aver fatto la cosa” (cf. Concilio di Trento, Sessione VII, Decreto sui sacramenti)[2]. Si riferisce al fatto che nei sacramenti il peccato del ministro non può inficiare il risultato dell’azione sacramentale.
Le affermazioni di natura dogmatica di cui sopra riguardano ogni sacramento ed ogni ministro del sacramento. Quindi sono applicabili anche al matrimonio sacramento e agli sposi battezzati che sono ministri del sacramento. Un matrimonio si costituisce validamente anche se uno dei due nubendi si dichiara, anche se battezzato, non credente, purché voglia fare comunque ciò che vuole fare la Chiesa quando celebra quel dato sacramento. Quindi non si richiede una fede piena e totale sull’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, si richiede di volere un matrimonio come lo intende la Chiesa. Il matrimonio, inoltre, nel suo contenuto essenziale appartiene all’ordine della creazione, secondo l’insegnamento di Gesù che rimanda al principio (cf. Matteo 19). Cristo, infatti, ha elevato a sacramento lo stesso patto naturale, senza trasformare il matrimonio dei cristiani in una realtà diversa, nel suo contenuto essenziale, al matrimonio naturale. Tuttavia i pastori nel percorso di preparazione al matrimonio devono verificare se i nubendi non credenti vogliono celebrare un matrimonio come lo intende la Chiesa. Questa affermazione va correttamente intesa. Non significa, lo ripetiamo, chiedere ai nubendi non credenti un atto fede sul sacramento del matrimonio, bensì di verificare che la loro volontà sia orientata al contenuto del matrimonio come voluto da Dio. Fare ciò che vuole fare la Chiesa significa volere e quindi non escludere, che il matrimonio sia un patto tra un uomo ed una donna, esclusivo ed indissolubile, finalizzato al bene degli stessi sposi e a quello della prole. Qualora i pastori non riscontrassero i requisiti di cui sopra, sono chiamati a differire la celebrazione del matrimonio o, in alcuni casi, proibirla, poiché assisterebbero ad un matrimonio nullo per mancanza di volontà.
Stante queste affermazioni sembra che la fede, alla fine serva, poco al matrimonio. Anche se non è richiesta per la validità del sacramento, tuttavia per una fruttuosa recezione dello stesso, è necessaria. D’altronde in questo senso va compresa l’espressione contenuta nella Costituzione dogmatica Sacrosantum concilium (cf. n. 59) nella quale si afferma che i sacramenti “presuppongono la fede”. L’affermazione deve essere intesa in senso pastorale e per la sua pratica, ovvero che va riferita alla fruttuosità che la fede apporta alla vita matrimoniale, ma non alla recezione valida del matrimonio, qualora in un nubendo fosse assente (è noto a tutti che al battesimo dei bambini non si richiede la fede degli stessi).
Nei percorsi di preparazione al matrimonio o come denominati da Papa Francesco, percorsi di catecumenato, si dovrà certamente proporre e annunciare nuovamente la fede a coloro che si dichiarano non credenti. La Familiaris consortio (cf. n. 68) offre ai Pastori diverse indicazioni pastorali su come affrontare nel concreto questi casi.
[1] I canoni presenti nell’articolo fanno riferimento al CIC (Codice di diritto canonico).
[2] Il testo è consultabile in Enchiridion Symbolorum, Denzinger-Hünermann (DH), 1608-1611-1612.
Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota romana, 1 febbraio 2001 e 30 gennaio 2003.
Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota romana, 22 gennaio 2011.
Francesco, Allocuzione alla Rota romana, 23 gennaio 2015 e 22 gennaio 2016.
Burke, C., «La sacramentalità del matrimonio: riflessioni canoniche», in Sacramentalità e validità del matrimonio nella giurisprudenza del Tribunale della Rota Romana, Città del Vaticano 1995, 139-156.
Salvatori, D., «La mancanza della fede e la prova della “exclusio et error circa sacramentalem dignitatem matrimonii” considerata nella Allocuzione Pontificia del 2015 alla Rota Romana (can. 1101 §2 e can. 1099 CIC)», Adnotatio Iurisprudentiae suppl. 2 (2016) 58-85.