Diocesi
I santi? Uomini e donne che si rialzano dopo una caduta
Nei giorni scorsi il corpo docenti del Polo Scolastico Salesiano si è riunito per approfondire, insieme a Suor Manuela Robazza (Presidente Nazionale del Centro Italiano Opere Femminili Salesiane Formazione Professionale), la Proposta di Pastorale rivolta a tutti gli ambienti educativi dell’Italia Salesiana per l’anno 2019/2020: Puoi essere santo #lìdovesei.
Cosa significa essere santi? Cosa significa vivere nella santità? Il primo passo necessario è quello di spogliare l’idea di santità da tutte quelle attribuzioni cui tanto siamo abituati, soprattutto i giovani. Questa idea, infatti, spesso è associata al concetto di perfezione che, come ben sappiamo, esclude ogni forma di difetto o errore. I Santi, come ci ricorda Papa Francesco, non erano perfetti, basti pensare all’adolescenza inquieta di Sant’Agostino e alle sue parole “Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo […] Tu eri con me, ma io non ero con te”; o a San Giovanni Battista e alla sua tortura interiore del dubbio; o a San Francesco. La lista potrebbe essere lunga, meglio fermarci qua.La proposta in realtà è un vero e proprio elogio dell’imperfezione. In altre parole è inutile cercare di tendere alla perfezione o chiedere ai giovani di farlo. Possiamo benissimo essere santi così come siamo. I santi dopotutto non sono quelli che rimangono sempre in piedi, ma sono quelli che sanno rialzarsi dopo una caduta, persino dopo una brutta caduta. Come possiamo rialzarci quando la nostra mente è angustiata e afflitta da pensieri e da problemi che ci precludono la serenità? La risposta ce la suggerisce Suor Manuela Robazza: dobbiamo riconoscere di essere amati da Dio, dobbiamo riconoscere l’amore di Dio e ammirare la gioia della nostra vita. I motivi per i quali ci alziamo al mattino non sono altro che i segni dell’amore di Dio. Dio si è fatto uomo per convincerci che è possibile sentire la pienezza della vita così come si è.Ma come è possibile, per noi docenti, declinare il concetto di santità durante le lezioni coi nostri alunni?
Ancora una volta Suor Manuela Robazza ci viene in soccorso leggendoci un brano del Nuovo Testamento (Atti 20, 7-12) “Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.”Se ci fermiamo un attimo a pensare all’effetto che tante volte le nostre parole e i nostri discorsi hanno sui giovani possiamo constatare che esso non è lontano da quello letto nel brano: un effetto soporifero. Esiste una difficoltà di comunicazione, un ostacolo tra il nostro mondo e il loro che deve essere infranto. Dobbiamo sforzarci di fare come Paolo che scende, si getta sul ragazzo e lo abbraccia. Forse questa volta la strada da seguire ce la indica don Bosco: “Amate ciò che amano i giovani, affinché essi amino ciò che amate voi”.