Diocesi
Emozioni di un viaggio di lavoro
Tornare in Tanzania non è mai semplice per chi come me ha la fortuna di lavorare per la Tanzania. Ogni volta parti pieno di risposte da dare e torni pieno di domande che non avresti mai pensato che ti saresti posto. Parti carico di progetti da controllare, da monitorare, da rivedere e correggere e torni con esperienze e incontri che non avevi messo in conto.Siamo troppo abituati al nostro quotidiano vivere di obiettivi e risultati che ci dimentichiamo che le pagine word e i fogli excel che scriviamo in Italia e ci portiamo dietro quando partiamo, nascondono i volti e i sorrisi di chi ogni giorno ringrazia un seme di Sorgo diventato pianta.La nostra occidentalità è genetica e più cerchiamo di nasconderla per sembrare aperti all’altro più mostriamo solo i lati negativi del nostro voler sapere le risposte giuste per chiunque.Eppure, basterebbe accogliere la nostra occidentalità, comprenderla e accettarla come parte di noi, per poter apprezzare l’altro per quello che è ed arrivare a capire le sue esigenze senza imporgli quelle che tu pensi debbano essere.Un lavoro complesso di exotopia, di comprensione dell’altro partendo dall’accettazione dell’altro in quanto diverso da sé. Un pensiero per noi così difficile, abituati a volerci mettere nei panni dell’altro, ma molto più naturale nella cultura tanzaniana.
Quando vai in Tanzania ti senti accettato per quello che sei e non tanto per quello che fai o per quello che porti, e questo mi spiazza ogni volta.Così ti accorgi di quanto l’incontro con un gruppo di giovani contadini non sia importante per quanto hanno raccolto, ma perché quel seme di Sorgo è diventato pianta e domani altri semi cresceranno, non tanto grazie a te, ma grazie a quei giovani che hanno visto nella condivisione con tutto il loro villaggio il risultato di quel progetto… che te avevi scritto per loro, ma che loro hanno realizzato.