La generazione ribelle

Lo storico Davide Conti è l’autore di un volume, edito dall’ANPPIA, dal titolo: “La generazione ribelle” in cui, già nell’introduzione si chiarisce lo scopo del libro, quello cioè di raccontare la storia di un gruppo di giovani livornesi militanti comunisti dalla lotta antifascista alla resistenza. Una vicenda correlata a quella di alcuni giovani sacerdoti arrivati, per altre vie, allo stesso impegno.

Una generazione ribelle che si concretizza nella vita di Nelusco Giachini, Bino Raugi, Giovanni Geppetti, Mario Lenzi, Garibaldo Benifei, e in quella di don Roberto Angeli, di don Antonio Vellutini, di don Amedeo Tintori e di altri che tramite le loro scelte individuali vogliono creare “una società nuova, aperta, libera e democratica che non avevano mai vista in Italia…..”.

E’ la lotta contro il nazifascismo e il suo sistema politico-ideologico che si realizza nella “libertà, l’uguaglianza e il rispetto dei diritti della persona come valori universali, la giustizia sociale come fattore di emancipazione dell’essere umano, l’organizzazione collettiva e pacifica della vita dei popoli come unica strada di convivenza e di collaborazione, la partecipazione della vita pubblica come elemento indispensabile per l’istituzione e il progresso della vita democratica”.

Garibaldo Benifei, a soli 10 anni, insieme alla propria famiglia aderente al socialismo, fu costretto, per non subire la violenza fascista, a trasferirsi a Livorno. Giovanni Geppetti, lavorante nell’ufficio del Rag. Orefice, ebreo, viene a sapere della Legge razziale che proibiva loro di esercitare la propria professione, e per questo venne licenziato. Nasce così in lui uno spirito di ribellione che lo porta a frequentare il Teatro San Marco dove incontra altre persone che come lui si dichiarano antifasciste.

Ma anche i giovani cattolici non erano da meno, scrive don Roberto Angeli nel “Vangelo nei lager”: “A Livorno fin dal 1940 funzionava un “Cenacolo di studi sociali” che teneva lezioni, più volte alla settimana in una sala adiacente alla chiesetta di Santa Giulia. Vi si approfondivano la dottrina sociale alla luce dell’etica cristiana, si citavano i grandi testi del fascismo e del nazismo demolendoli con una critica spietata”. In quelle occasioni don Angeli lesse alcune pagine scritte da Hitler e da Rosenberg, “erano tra le più ignobili, le più anticristiane e assurde tra quelle scritte dai due criminali”. In quella sede parlarono diversi oratori, tra cui l’Avv. Carlo Maria Carli e il Prof. Paolo Emilio Taviani, allora insegnante al Liceo di Pisa. Taviani -aggiungiamo noi- sarà deputato e Ministro della difesa, ma prima, con il nome di “comandante Pittaluga” fu uno dei protagonisti dell’insurrezione di Genova nell’aprile 1945!”.

Ma cosa facevano i giovani livornesi? Ai primi di luglio del 1933 Garibaldo Benifei, in occasione della Giornata internazionale per la pace per la quale distribuisce dei volantini, viene prelevato da casa dalla polizia del regime, picchiato, viene trasferito a Roma, giudicato dal Tribunale Speciale viene condannato a un anno di reclusione, sarà la prima di una serie di condanne. “Sorte analoga alla mia -scrive- ebbero Martelli, Frangioni, Tamberi e Corsi, tutti ragazzi intorno ai vent’anni come me”. Il carcere -scrive lo storico Corti- diventa “scuola di formazione politica”, Benifei nel carcere romano di Regina Coeli incontra Giancarlo Paietta e quando verrà trasferito a Livorno si imbatterà in Sandro Pertini.

Il 3 aprile del 1943 Giachini, Raugi e Geppetti vengono arrestati insieme ad altri giovani, e poco dopo, quando viene bombardata Livorno, sono trasferiti a Roma. Ma il 25 luglio 1943 il fascismo finisce con l’arresto di Mussolini, nelle carceri i detenuti politici entrano in rivolta, Raugi e Nenciati riescono a fuggire da Regina Coeli, ma solo negli ultimi giorni di agosto viene l’ordine di scarcerazione per tutti gli altri, ed è qui che per tutti loro viene il passaggio dall’antifascismo alla Resistenza vera e propria. Con l’8 settembre 1943 che don Angeli chiama “lo sfacelo di tutto”, “culture politiche e religiose diverse mossero insieme, su un piano concreto e unitario, per determinare un nuovo orientamento delle giovani generazioni”. La Resistenza da concettuale diviene Resistenza armata, le armi vengono recuperate dai depositi (lo fa Mario Lenzi), a Fauglia gli stessi Carabinieri le danno a Giovanni Geppetti che lì era sfollato, oppure raccolte da soldati sbandati come fa Garibaldo Benifei che le nasconde nel Duomo di Livorno!.

Le diverse anime della Resistenza livornese danno vita alla Concentrazione antifascista che si concretizza nel locale CLN formato da azionisti, repubblicani, cristiano sociali, comunisti, socialisti e indipendenti. Fu la condivisione di un percorso che porta comunisti e cattolici -scrive Corti- “a schierarsi sullo stesso fronte di lotta per la libertà e la democrazia”.

Si costituisce così la brigata della III Divisione partigiana Garibaldi che venne intitolata a Oberdan Chiesa dopo la sua fucilazione. La rete clandestina cattolica guidata da don Angeli si avvaleva di persone come Luciano Merlini, Renato Orlandini e Aroldo Figara reduce dalla città martire di Boves e da Erminia Cremoni nota a tutti per il suo aiuto agli ebrei. Elemento di collegamento tra il gruppo della resistenza di don Angeli e di don Elio Monari, cappellano della Brigata Italia, fu don Amedeo Tintori, sacerdote livornese ma nato a Mocogno (MO), fu un fervente sostenitore della pace perché non ebbe la gioia di conoscere il proprio padre Giuseppe, morto il 23 ottobre 1915 nella Prima Guerra Mondiale. Fu molto attivo lungo l’appennino tosco-emiliano in stretto contatto con i comandanti partigiani Ermanno Gorrieri e Luigi Paganelli che guidarono la Brigata Italia, dopo la guerra divenne monsignore e fu un aiuto prezioso come vicario del Vescovo Alberto Ablondi.

Come tanti altri sacerdoti per la sua attività don Angeli venne arrestato dalla Gestapo su delazione, e anche suo padre, partigiano, chiamato il “nonnino”, che faceva la spola tra Toscana, Emilia e Roma, venne imprigionato a Via Tasso. Don Angeli dopo essere sopravvissuto ai campi di sterminio di Mauthausen e Dachau, dopo che le Forze Armate Americane liberarono il campo il 30 maggio   1945 e rientrò a Livorno. I giovani antifascisti livornesi aderirono al partito comunista e presero parte alla lotta di liberazione, come scrive Conti “le esperienze, le culture e le idee plurali dell’antifascismo trovavano sintesi nel rapporto e nell’azione concreta dei componenti della Resistenza”. Gli ultimi scontri per la liberazione di Livorno si svolsero al Castellaccio, Lanciotto Gherardi, commissario politico del Decimo Distaccamento, in località Malavolta fu ferito a morte. Benifei, Giachini, Lenzi, Geppetti, con i loro ricordi scritti hanno documentato quale sia stata la lotta da loro sostenuta nell’antifascismo e nella Resistenza che alla fine ha portato uno di loro, Bino Raugi a diventare il Sindaco della Livorno repubblicana. Benifei morirà 103 anni e sarà ricordato come uno dei più vecchi resistenti. Lenzi diventerà un giornalista molto quotato, sarà il direttore dell’Ora, del Tirreno e dell’Unità, Geppetti sarà un dirigente del PCI  e gli ultimi anni della sua vita li passerà ad incontrare le scolaresche per ricordare ai ragazzi cosa sia stata la dittatura e la Resistenza.