Commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».

Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.

Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.

Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Congeda la folla

Al termine di una giornata faticosa, visto il luogo desertico e senza risorse, i dodici si preoccupano della situazione che si era venuta a creare e si rivolgono a Gesù: «Congeda la folla».

Se da una parte i discepoli manifestano una giusta preoccupazione per tanta gente, dall’altra la soluzione prospettata fa molto pensare: che ognuno si arrangi, chi ha denaro può comprarsi il cibo, chi non ce l’ha è problema suo, si dia da fare… non è un problema nostro, torni a casa sua. Quel deserto di cose e risorse diventa anche un deserto di persone.  Si chiudono le porte, i confini, alle navi si impedisce di attraccare, si mettono in atto i respingimenti, si frappongono ostacoli di ogni genere con un solo risultato certo che il deserto si allarga e i cuori si inaridiscono. Stiamo costruendo una società con lo sguardo corto, togliamo speranza agli altri perché noi l’abbiamo persa, abbiamo fatto dell’egoismo il metro della nostra esistenza, così finanza e politica annaspano senza prospettive.

Voi stessi date

L’invito di Gesù: «Voi stessi date loro da mangiare» sembra piuttosto una sfida, quella della “comunione”, della condivisione, di mettersi in gioco, di stare con questa folla affamata, di partecipare attivamente alla soluzione dei problemi. Fare “la comunione” non è relegabile in un puro atto di spiritualità avulso dalla concretezza della storia, cieco alle provocazioni che la Provvidenza ci sta inviando in continuazione. La comunione chiede una particolare attenzione al momento che stiamo vivendo, la storia non ci è estranea come non sono estranei gli altri con i loro bisogni. La comunione non si fa con i sentimenti o con le parole ma con fatti concreti che ci mettono all’opera. L’invito di Gesù è di una chiarezza estrema.

cinque pani e due pesci

La prima risposta è semplice si mette a disposizione quello che c’è… cinque pani e due pesci. La seconda è ancora più impegnativa… andiamo noi a comprare: se mettere a disposizione quello che c’è non basta si mette mano alla borsa. Eppure, queste risposte per quanto generose peccano della pretesa di voler risolvere la situazione da soli, non si tiene contro delle risorse degli altri. È la proposta di chi pensa di avere la soluzione pronta per gli altri e al posto degli altri; c’è generosità (a volte anche il compiacimento di essere benefattore) ma manca di “comunione”.

Gesù chiede che la moltitudine impari a fare comunione, i piccoli gruppi servono a guardarsi negli occhi, condividere le fatiche della giornata, scoprire ed apprezzare i doni di cui ciascuno è portatore… inizia così nella fraternità un cammino di liberazione. Infatti, letteralmente, la richiesta di Gesù suona: “fateli sdraiare a gruppi di circa cinquanta”: lo sdraiarsi è l’atteggiamento dell’uomo libero che consuma il pasto (i servi mangiano seduti). Non c’è comunione senza libertà e non ci può essere libertà senza comunione

li spezzò

La successione dei verbi usati, rende evidente il richiamo all’Eucarestia, allo spezzare il pane che è segno sommo della comunione e della presenza del Cristo in mezzo a noi. Nel vangelo non c’è traccia del “moltiplicare”, piuttosto spezzare e dare, queste parole sono il miracolo: è un gesto alla nostra portata, alla portata di tutti. Il Signore dà il pane ed i pesci ai discepoli e questi lo danno alla folla. Qui si chiude il cerchio della comunione: il pane offerto dai discepoli nelle mani del Cristo diventa segno del suo dono, i discepoli lo ricevono di nuovo per portare a compimento la loro offerta. Gesù consegna ai discepoli di allora, alla Chiesa di oggi, agli uomini di ogni tempo il segno di un pane spezzato e condiviso, ciò che è di ciascuno condiviso per molti. Proprio il contrario del nostro mondo d’oggi che concentra in poche mani le risorse disponibili. La nuova umanità, la Chiesa, si realizza dallo spezzare il pane, dalla comunione, dalla libertà dall’egoismo e le sue paure: ci sono risorse da condividere, calore umano e parole di speranza da scambiarci. Lo spezzare il pane rende presente e riconoscibile il Signore nella nostra vita, le dodici ceste di ciò che è avanzato sono il segno dell’abbondanza con cui Dio corona la Comunione.