Fine vita e sofferenza

Il bene comune, come criterio di unità e di promozione del tutto sociale, legittima provvedimenti a favore della soppressione consenziente della vita? Di che cosa vive una società che accetta di gestire la morte? Il libero consenso ha maggior valore della conservazione della vita? Se il potere di scelta (autodeterminazione) si propone come potere di legittimazione, il contenuto della scelta diventa indifferente, perché il valore è tutto dalla parte della decisione, e perciò potenzialmente qualunque contenuto di scelta è legittimo.

Che cosa ne è di tutto ciò nell’esperienza del patimento (dolore e sofferenza)? La libertà si fa giusta alleata di tutto ciò che li possono ridurre o eliminare, perché – va notato – anche la più libertaria delle libertà alla fine non è del tutto indifferente al positivo o negativo dell’esperienza… Tuttavia, una libertà tutta concentrata in sé stessa è anche in balìa di sé stessa, delle sue debolezze, delle sue illusioni, ma anche dei suoi incubi. Oggi dovrebbe stupirci l’impressionante povertà culturale e simbolica circa il senso del patire. Non più cristiani e non ancora nuovi veri pagani, ricchi di nuove mitologie, noi uomini di oggi viviamo il patimento come una condizione fatale, anonima, solitaria, insensata e ragionevole solo come oggetto di manipolazione tecnica.

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