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Quello sguardo rivolto alla Cina che può essere chiave di pace
Ulan Bator è a un’ora e cinquantasette minuti d’aereo da Pechino, il centro governativo della Repubblica popolare cinese. Tra i telegrammi papali con benedizioni e preghiere per la pace, la fraternità e l’unità che hanno raggiunto gli undici Paesi sorvolati ieri da papa Francesco per arrivare a Ulan Bator anche quello alla Cina, prima di entrare in Mongolia. «A sua eccellenza, Xi Jinping, il presidente della Repubblica popolare cinese – si legge nel testo –, invio i saluti di auguri a lei e al popolo della Cina mentre attraverso lo spazio aereo del suo Paese in rotta verso la Mongolia. Vi assicuro delle mie preghiere per il benessere della nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine dell’unità e della pace».
Non era la prima volta. Il primo telegramma a Xi Jinping papa Francesco lo aveva già inviato nel 2014 sorvolando la Cina in volo verso Seul. Il Papa aveva indirizzato il telegramma al presidente cinese esprimendo «cordialità» sia al capo di Stato sia al suo popolo, e invocando «la divina benedizione per la pace e il benessere della nazione». Altri tempi rispetto a quando nell’ottobre del 1989, in un viaggio analogo verso la Corea, la Cina negò allora a Giovanni Paolo II anche il permesso di entrare nel suo spazio aereo. E se al telegramma di papa Francesco del 2014 fece seguito il silenzio, dopo questo ultimo telegramma ieri la risposta di Pechino è stata immediata: la Cina vuole «rafforzare la fiducia reciproca» con il Vaticano, ringraziando il Papa per il «messaggio di saluto e di augurio» al presidente Xi Jinping e al popolo cinese, durante il suo passaggio sullo spazio aereo della Cina.
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