Come pecore in mezzo ai lupi

Roma oggi, Vera è una poliziotta infiltrata sotto falso nome in una banda criminale internazionale che si muove tra rapine, estorsioni e traffico di droga. Puntualmente fa dei report ai colleghi della Polizia, che stanno provando a stringere il cerchio sulla banda. Nel colpo in preparazione a un portavalori viene assoldato anche un giovane padre separato, Bruno, che per sbarcare il lunario e mantenere la figlia piccola si è compromesso con la malavita. Bruno è il fratello di Vera, e questo complica tutto…

Valutazione Pastorale

Ha affiancato il regista-produttore Matteo Rovere nei film “Veloce come il vento” (2016) e “Il Primo Re” (2019), ora Lyda Patitucci finalmente conquista la scena con il suo film d’esordio “Come pecore in mezzo ai lupi”. A scriverlo è Filippo Gravino, lo produce lo stesso Rovere con Groenlandia insieme a Rai Cinema e Fandango. Si tratta di un crime fosco che alterna vigorose sequenze d’azione a raccordi introspettivi lividi. Un viaggio disperante nelle praterie del Male per una donna quarantenne. La storia. Roma oggi, Vera (Isabella Ragonese) è una poliziotta infiltrata sotto falso nome in una banda criminale internazionale che si muove tra rapine, estorsioni e traffico di droga. Puntualmente fa dei report ai colleghi della Polizia, che stanno provando a stringere il cerchio sulla banda. Nel colpo in preparazione a un portavalori viene assoldato anche un giovane padre separato, Bruno (Andrea Arcangeli), che per sbarcare il lunario e mantenere la figlia piccola si è compromesso con la malavita. Bruno è il fratello di Vera, e questo complica tutto…

“L’elemento centrale di questo film, l’unica cosa che davvero conta, sono i personaggi”. Così Lyda Patitucci nelle note di regia, sottolineando in particolare: “Ho cercato di raccontare i protagonisti di questa storia per come sono: con tono secco, diretto, onesto, crudo e persino spietato, ma con sentimento, emozione, sempre senza giudizio”. La regista traccia bene il perimetro del racconto, mettendo in luce la forza del film. La storia, infatti, ruota sul dissidio interiore di Vera, donna delle forze dell’ordine che deve cancellare se stessa pur di essere credibile agli occhi dei criminali su cui sta indagando. Vera cambia nome, si tinge i capelli, azzera la propria femminilità in abiti neri, per lo più da motociclista. Non sono ammesse emozioni, errori. Non c’è appello. E quando compare in campo il fratello Bruno, un povero disgraziato che nella propria vita ha combinato poco, tutto sbanda. La freddezza di Vera vacilla, mettendo in allarme anche i colleghi della Polizia. Bruno sembra un personaggio pasoliniano, che non ha niente a parte una bambina di appena sei anni, Marta, e per mantenerla, vista la condizione di estrema povertà, tenta furti qua e là. Messo alle strette da un quadro sociale sempre più degradato, Bruno prova il “grande salto”: chiede a un amico di far parte di un colpo importante, l’assalto a un portavalori.

Il Male però non fa patti, divora senza pietà. Con una grande forza narrativa, una bella grinta di sguardo dalle striature livide, Lyda Patitucci convince per lo stile di regia, per come controlla un valido film di genere, che per certi versi ricorda un po’ “Occhi blu” del 2021, esordio alla regia dell’attrice Michela Cescon. Se dunque a funzionare bene sono la regia della Patitucci e i protagonisti, su tutti la sempre più brava Isabella Ragonese, che gestisce con consapevolezza espressività, azione e introspezione del proprio personaggio, sembra convincere un po’ meno l’impianto della sceneggiatura. Le sequenze sono efficaci, ma sostanzialmente slegate; manca compattezza e dei passaggi risultano accennati, senza adeguati approfondimenti: in primis il rapporto di Vera e Bruno con l’ingombrante figura paterna (Tommaso Ragno). Nell’insieme il film colpisce e convince, al di là di qualche elemento più acerbo. Complesso, problematico, per dibattiti.