Oppenheimer

Statunitense di nascita e formatosi negli atenei europei in Fisica quantistica, in particolare a Gottinga su indirizzo del premio Nobel Niels Bohr, Robert Oppenheimer nel 1943 viene incaricato dal governo statunitense di coordinare il più ambizioso laboratorio scientifico internazionale: il progetto Manhattan. Siamo nel cuore della Seconda guerra mondiale e gli Stati Uniti premono affinché si giunga alla messa a punto di un’arma che cambierà le sorti del conflitto. Oppenheimer aduna una squadra tra le più avanzate mai viste e nei laboratori appositamente creati dall’esercito – dal futuro generale Leslie Groves –, nella zona depressa di Los Alamos nel Nuovo Messico, si getta in una corsa contro il tempo per arrivare alla scoperta che possa spingere a porre fine alla guerra e a tracciare un nuovo equilibrio mondiale. Crea la bomba atomica, che il presidente Harry Truman decide di sganciare sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Una scelta che inquieta Oppenheimer. Il racconto, poi, si sposta negli anni ‘50, quando da uomo più importante del mondo scientifico, in copertina sul “Time”, Oppenheimer viene deposto dall’Atomic Energy Commission e messo in stato d’accusa per sospetto collaborazionismo con l’Unione Sovietica. È la stagione feroce del maccartismo e a muovere le accuse contro di lui è il politico Lewis Strauss.

Valutazione Pastorale

Ancora una volta Christopher Nolan sorprende e conquista. Il regista londinese classe 1970, in oltre vent’anni ci ha abituato a sguardi vigorosi e spiazzanti, percorrendo le rotte del fantastico dai riverberi sociali (la trilogia del “Cavaliere oscuro”, 2005-12) o scandagliando la dimensione del tempo nel crocevia tra reale e onirico (“Inception”, 2010; “Interstellar”, 2014; “Tenet”, 2020). Dopo il bellissimo “Dunkirk” (2017), Nolan torna a confrontarsi con le maglie della Storia ricostruendo la vicenda del fisico nucleare Robert Oppenheimer (New York, 1904 – Princeton 1967) che guidò il team di scienziati internazionali nel progetto Manhattan, l’invenzione della bomba atomica. È “Oppenheimer”, film appena sbarcato nei cinema statunitensi e in Italia dal 23 agosto con Universal Pictures. Un’opera potente, sfidante e vigorosa. Christopher Nolan si conferma un regista visionario. “Il mio obiettivo è stato di condurre il pubblico nella mente e nelle vicende della persona che ha assistito con i propri occhi a uno dei più grandi stravolgimenti della storia”. Così il regista Nolan, che oltre a dirigere e produrre il film ne firma anche la sceneggiatura, che prende le mosse dal romanzo storico Premio Pulitzer “Robert Oppenheimer. Il Padre della Bomba Atomica” (“American Prometheus”, 2005) di Kai Bird e Martin J. Sherwin. “La storia di Oppenheimer – sottolinea ancora Nolan – è piena di paradossi e dilemmi etici, ed è la tipologia di materiale che da sempre mi appassiona. Mentre il film prova ad accompagnare lo spettatore nella comprensione delle scelte prese dalle persone, vuole stimolare l’interrogativo sull’opportunità di quelle decisioni (…) In diversi passaggi, abbiamo provato a sprofondare nella psiche di Oppenheimer e assistere al suo viaggio emotivo”. L’autore inglese con il suo stile sempre più unico, vigoroso e granitico, padroneggia un racconto su più piani temporali e su più livelli narrativi. Da un lato si muove lungo le direttrici della Storia, tra flashback e flashforward, raccontando la vita di Robert Oppenheimer tra formazione, centri di ricerca, il progetto Manhattan e le serrate fasi processuali durante la stagione maccartista. Piani temporali che si annodano, si confondono e si sovrappongono, creando un mosaico di avvenimenti che corrono su un binario dal ritmo denso, magnetico e avvincente. Il film ha l’impianto del thriller storico, stratificato, dove i dialoghi sono spesso dominanti; una “verbosità” che si fa rigogliosa, ma di certo non stancante. Dall’altro lato, accanto ai piani temporali, Nolan è attento a muoversi sui piani personali, introspettivi, bilanciati da quadri di osservazione esterna, che sposano il punto di vista dell’opponente Lewis Strauss. Qui la regia di Nolan si supera: mette in campo soluzioni visive e sonore che aiutano lo spettatore a cogliere gli stati soggettivi – esplosioni di colore e riverberi sonori altalenanti – e gli sguardi di campo-controcampo affidati a uno splendido ed elegante bianco e nero.

“È una scelta strana quella che ho preso” – confessa Nolan – Ma ha permesso di chiarire (…) che il pubblico affronta questo viaggio insieme allo stesso Oppenheimer. Guardiamo la storia dalle sue spalle, siamo nella sua testa, ovunque andiamo siamo al suo fianco”. Uno sforzo realizzativo che poggia anche sul talento di collaboratori fidati di Nolan, come quello del direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema (con lui per i film “Dunkirk” e “Tenet”) e la montatrice Jennifer Lame (“Tenet”). Lo sguardo visionario di Christopher Nolan ha trovato un riuscito approdo realizzativo non solo grazie alla forza di una regia e di una scrittura che lasciano un segno, complice anche una geniale armonizzazione del linguaggio cinematografico, delle componenti tecniche – montaggio, sonoro e fotografia, e che meraviglia le musiche di Ludwig Göransson! -, ma anche (soprattutto) a una straordinaria performance degli interpreti. Nolan ha composto un cast di attori britannici e statunitensi di altissimo livello. In primis sono fuori misura le performance di Cillian Murphy e Robert Downey Jr., pronti a giocarsi le carte nella partita degli Academy Award 2024. Non meno efficaci le comprimarie Emily Blunt e Florence Pugh: la prima è la biologa Kitty Puening, moglie di Oppenheimer, una donna segnata da fragilità esistenziale capace però di lampi di forza granitica, una presenza fondamentale per lo scienziato. La seconda è la psichiatra Jean Tatlock, amore passionale di Oppenheimer, figura altrettanto altalenante e incisiva. Accanto a loro, e al sempre bravo Matt Damon, numerosi attori hollywoodiano che hanno cesellato piccoli, significativi, ruoli: Kenneth Branagh, Casey Affleck, Rami Malek, Josh Hartnett, Matthew Modine, Gary Oldman, Tony Goldwyn, Jason Clarke, James D’Arcy e Dane DeHaan.

Infine, un sguardo proteso in avanti. “Oppenheimer” è un’opera che ci parla di ieri, che percorre i tornanti della Storia, e al contempo abita già il futuro. È infatti un’opera di stringente attualità sui rischi dell’atomica, sul disastro umanitario che si può squadernare. Il film tratteggia con attenzione l’orrore che squarcia l’orizzonte del fisico Robert Oppenheimer, il comprendere il punto di non ritorno cui ha condotto la scienza e la vita dell’uomo. Nel film Oppenheimer, dopo i bombardamenti delle città giapponesi, “non sente” gli applausi di un mondo in festa per la fine della guerra: stordito, ammutolito, lui “vede” la gente mutilata, morta, violata della dignità umana. E ripete in più di un’occasione: “ho le mani sporche di sangue” oppure “sono il distruttore dei mondi”. Una suggestione allarmante che risuona in sintonia con il fronte della scienza – si pensi alle parole di Carlo Rovelli all’anteprima del film a New York: “Tutti dovrebbero vedere questo bellissimo film di Nolan” – e di quella parte della politica, della società civile, impegnate a promuove una cultura della non proliferazione. Ancora, il film di Christopher Nolan corre veloce, con un passo già nel domani, per lo stile visivo e per la sua regia così solida, grintosa, capace di orchestrare una messa in scena che fonde spettacolarità, introspezione e racconto della Storia. Una compenetrazione di forma e contenuto in un’opera così singolare e prodigiosa. Semplicemente magnifica. “Oppenheimer” è consigliabile, problematico, per dibattiti.