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Suicidio assistito, la Consulta apre ma pone condizioni
Il suicidio assistito entra nell’ordinamento italiano. Non con una legge del Parlamento, ma con una sentenza della Consulta. “La Corte – si legge in un comunicato diffuso pochi minuti fa – ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Nella sostanza, quanto già anticipato un anno fa nell’ordinanza 207, quando aveva dato mandato al Parlamento di modificare l’attuale quadro normativo, che punisce sempre e comunque non solo chi istiga, ma anche chi collabora al suicidio di una persona. In qualunque stato quest’ultima si trovi. Coerentemente poi con la stessa pronuncia, la Corte subordina la possibilità di ricorrere alla “morte a comando” “al rispetto delle modalità previste sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua”, nonché “alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. Queste ultime condizioni, precisa la Consulta, si sono rese necessarie “per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018”. Pur ormai con questi vincoli, la Corte continua ad auspicare “un indispensabile intervento del legislatore”.