Il Papa all’UCSI: parlare con lo stile evangelico

Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una ‘parresia’ del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante”. Lo ha sottolineato il Papa ricevendo l’Ucsi, l’Unione Cattolica Stampa Italiana nel suo 60° anniversario.

“Per rinnovare la vostra sintonia con il magistero della Chiesa – ha sollecitato Francesco -, vi esorto a essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal malele scelte umane da quelle disumane. Perché oggi c’è una mescolanza lì che non si distingue, voi dovete aiutare in questo”. Questo significa, ha proseguito, “anche essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: ‘sì, sì’, ‘no, no’, perché il di più viene dal maligno”.

Per il Papa, “la comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere”.

“Quante volte il giornalista vuol andare su questa strada, ma ha dietro di sé una direzione editoriale che dice ‘no, questo non si pubblica, questo sì, questo no, e si passa tutta quella verità nell’alambicco delle convenienze finanziarie della direzione editoriale. E finisci comunicando quello che non è vero, che non è bello e che non è buono”, ha sottolineato il Pontefice a braccio. “Da molti vostri predecessori – ha quindi ricordato papa Francesco – avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario. Possiate dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive“.

Secondo papa Francesco, “nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle. Porto spesso questo esempio: una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano. Qualcosa non funziona”.

Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha – ha aggiunto il Papa -; di raccontare le ‘buone notizie’ che generano amicizia sociale, non raccontare favole, no, ma buon notizie reali; di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi”.”Vi ringrazio perché già vi sforzate di lavorare per questo, anche con documenti come la Laudato sì, che non è un’enciclica ecologica, ma sociale, e promuove un nuovo modello di sviluppo umano integrale: voi cooperate a farlo diventare cultura condivisa, in alternativa a sistemi nei quali si è costretti a ridurre tutto al consumo”, ha concluso.

L’ALTRO DISCORSO AI DIPENDENTI DEL DICASTERO DELLA COMUNICAZIONE

“Passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo”. È questo, per il Papa, il segreto di una comunicazione “autenticamente cristiana”. Nel discorso a braccio rivolo ai membri del Dicastero per la comunicazione, Francesco ha denunciato come la “cultura” dell’aggettivo “è entrata nella Chiesa, e noi tutti dimentichiamo di essere fratelli”. “La vostra comunicazione sia austera, ma bella”, l’antidoto proposto dal Papa, secondo il quale “la bellezza non è rococò, si manifesta a se stessa, dà se stessa il sostantivo”.

IL TESTO INTEGRALE

Essere comunicatori cristiani, in questa prospettiva, significa “comunicare con la testimonianzacomunicare coinvolgendosi nella comunicazione, comunicare con i sostantivi, le cose, comunicare da martiri, cioè da testimoni di Cristo. Imparare il linguaggio dei martiri e degli apostoli”. Francesco ha pronunciato inoltre un “no” alla “rassegnazione che tante volte entra nel cuore dei cristiani: vediamo il mondo in modo pagano”. “L’aria di mondanità non è una cosa nuova del XXI secolo, c’è sempre questo stato pericolo”, ha spiegato il Papa mettendo in guardia ancora una volta da questa “tentazione”. “Non avere vergogna di essere pochi, non avere paura del futuro della Chiesa”, l’invito: “Siamo una chiesa di pochi, come il lievito. La rassegnazione, la sconfitta culturale viene dal cattivo spirito, la lamentela della rassegnazione”. “Siamo pochi si ma con la voglia di ‘missionare’, di fare vedere agli altri chi siamo con la testimonianza”, l’esortazione a non avere paura, sulla scorta di San Francesco, che mandava i suoi frati a predicare dicendo loro: “Predicate il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”.