Emily

Yorkshire, Inghilterra, prima metà dell’800. Charlotte, Emily e Anne Brontë vivono col padre, pastore protestante piuttosto severo, e il fratello Branwell, scapestrato, inconcludente, schiavo dell’alcool e degli oppiacei. Charlotte insegna in un collegio ed Emily sembra destinata a seguirne le orme: un “destino” socialmente accettabile per una donna. Ma Emily è “strana”, ha difficoltà a rapportarsi con gli altri e così viene rimandata a casa. Tra semplici lavori domestici e lunghe passeggiate nella brughiera, Emily lascia volare la sua immaginazione…

Valutazione Pastorale

“Emily” segna il debutto alla regia di Frances O’Connor, attrice inglese, classe 1967, con una lunga esperienza tra cinema e televisione. È un biopic su Emily Brontë, che si concentra sull’interiorità, sull’ispirazione dell’autrice di “Cime tempestose”. Non racconta, infatti, “tutta” la storia, ne tratteggia piuttosto alcuni episodi, in un lungo flashback che si apre con la scrittrice in punto di morte e si chiude con le sorelle che eseguono le sue ultime volontà, e Charlotte che comincia a scrivere “Jane Eyre”. In mezzo il difficile rapporto con il padre (Adrian Dunbar), il quello profondo e “spietatamente sincero” che la lega al fratello Branwell (Fionn Whitehead), inconcludente scapestrato, drogato di oppio e laudano, e quello altrettanto forte, ma anche “competitivo”, con le sorelle Charlotte (Alexandra Dowling) e Anne (Amelia Gething) e infine la storia appassionata e infelice che vive con il giovane predicatore William (Oliver Jackson-Cohen). Emily (Emma Mackey) scrive brevi poesie, e corre nella brughiera sotto la pioggia, la mente continuamente rivolta a inventare storie, fino ad arrivare alla “storia”, l’unico suo romanzo, che la renderà immortale, lei che muore a 30 anni.

“Emily”, a dire il vero, si prende alcune libertà rispetto alla biografia della Brontë. Le tre sorelle, ad esempio, pubblicarono nello stesso anno, il 1847, le loro opere prime firmandole con pseudonimi maschili: “Cime tempestose” (Ellis Bell); “Jane Eyre” (Currer Bell) e “Agnes Grey”, per cui la piccola Anne sceglie il nome di Acton Bell. Non solo, il romanzo non ebbe l’immediato successo che il film ci racconta, ma fu considerato dai critici moralmente debole (critica che nel film viene invece attribuita solamente a Charlotte) e solo molti anni dopo fu riconosciuto come una delle opere più originali e innovative dell’epoca vittoriana, e, oggi, un classico della letteratura mondiale. Il film della O’Connor guarda senza dubbio a opere recenti – come ad esempio “Miss Marx” (2020) e “Chiara” (2022) di Susanna Nicchiarelli o “Piccole donne” (2019) di Greta Gerwig – con quel gusto di raccontare figure femminili in maniera originale accentuandone elementi più vicini alla sensibilità contemporanea: il desiderio di vivere pienamente, la possibilità di studiare e di coltivare i propri talenti, di esprimersi liberamente e di scegliere, anche in amore. Potente, coinvolgente e visivamente suggestivo, merito anche della bellissima fotografia di Nanu Segal.

Davvero ottimi tutti gli interpreti, Emma Mackey (“Assassinio sul Nilo”, “Sex Education”) in testa, capace di dare intensità e fierezza moderne a questa giovane donna di due secoli fa. “Emily” è complesso, problematico-poetico e adatto per dibattiti.