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La maternità ablativa
Alcuni psicoterapeuti ritengono che durante il colloquio di psicoanalisi molti pazienti, nove su dieci, evocano la propria madre in modo negativo. I loro ricordi sono spesso carichi di emozioni penose, ostilità e di tensione tra l’amore e l’odio.
La maternità oltre ad essere localizzata nella madre personale è un simbolo dell’inconscio collettivo, afferma Jung, che richiama da dove si esce, ventre materno, e verso cui si ritorna momentaneamente o definitivamente, il sonno o la morte. E’ facile ora immaginare la potenza benefica o malefica che scaturisce dalla maternità come simbolo che da la vita e la toglie.
L’esperienza della maternità è la prima e fondamentale delle relazioni che il bambino stringe con la madre. Fin da prima della nascita, nei primi mesi della sua esistenza extrauterina, il bambino è interamente dipendente da colei che gli dà la vita. In tal senso, è facile comprendere come ogni carenza avrà delle conseguenze, talora perfino disastrose, in tutto l’arco della vita del bambino, espresse nelle forme di immaturità e spesso anche di patologia, con cui l’ex-bambino, ormai divenuto adulto, tenderà a compensare i bisogni frustrati.
L’eziologia del problema, come del resto di ogni patologia, risiede soprattutto nei primi anni di vita in cui si struttura la personalità. E’ pertanto palese, in questa fase, l’importanza del compito educativo della madre e la responsabilità della sua “missione” materna soprattutto per lo sviluppo armonico di una personalità integrata. Una maternità che vada oltre le cure fisiche, capace di coltivare il sentimento, l’immaginazione dei figli, di porre in essi le prime basi morali e religiose, di educare al senso del bello, l’altruismo, la compassione, l’ammirazione e l’adorazione.
Sono questi le funzioni educative tipicamente materne, scrive il fondatore della psicosintesi Roberto Assagioli. E’ altrettanto importante non lasciarsi assorbire da nessuna funzione umana, qualunque essa sia, anche la più nobile e bella.
La madre dopo la sua missione materna deve compiere il sacrificio che più le costa, deve sapersi ritirare, altrimenti essa cerca accanitamente di legare a sé i figli, illudendosi di fare il loro bene. I figli che si compiacciono di questo stato comodo di protezione, restano dei deboli, dei timidi, dei vinti.
Tuttavia l’amore della madre per il proprio figlio ha una caratteristica unica come amante: quella di accettare e preparare il distacco dell’essere umano. In questo senso l’amore materno è di natura ablativa, e rappresenta nella sua dedizione totale il ponte tra l’amore umano e quello spirituale. Al contrario, la carenza d’amore materno, produce nel bambino un sentimento di indegnità e poi di rifiuto, che da adulto sarà oggetto di proiezione sugli altri continuando a percepirsi non amato.
Il modello materno, ablativo e fecondo, per ogni madre rimane pur sempre la Madre di Gesù, che ha generato e genera in noi l’autore della vita.
padre Maurizio De Sanctis