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Air. La storia del grande salto
Il primo Oscar Ben Affleck lo ha vinto insieme all’amico Matt Damon nel 1998 per la sceneggiatura originale di “Will Hunting. Genio ribelle”. Il secondo titolo dell’Academy è arrivato nel 2013, la statuetta per il miglior film “Argo”, da lui diretto, interpretato e prodotto. Dopo un giro di giostra tra alti e bassi, tra set e vita personale, da tempo Affleck è tornato sulla cresta dell’onda infilando un progetto riuscito dopo l’altro. Dal 6 aprile è nei cinema con la sua quinta regia “Air. La storia del grande salto” (“Air”), un copione scritto da Alex Convery, film che gli ha permesso di riformare sullo schermo lo storico sodalizio con Damon, cui si aggiungono anche altre stelle di peso di Hollywood come il Premio Oscar Viola Davis, Jason Bateman, Chris Messina e Chris Tucker. Affleck ha deciso di raccontare la storia del mito sportivo Michael Jordan attraverso un’angolatura meno prevedibile, poco conosciuta: lo storico accordo con la Nike nel 1984, a inizio carriera, che ha portato anche alla nascita della scarpa Air Jordan. Un’impresa dove ha giocato un ruolo decisivo la mamma del campione, Deloris. “Forse la cosa più interessante del film per me – ha sottolineato Affleck – è stata che, con lo sviluppo della trama, il vero protagonista non è così scontato.
In effetti mi sono reso conto che il fulcro del film è il personaggio interpretato da Viola Davis, Deloris Jordan”. La storia. Stati Uniti, 1984. Il manager Sonny Vaccaro (M. Damon) viene incaricato dal fondatore-CEO della Nike Phil Knight (B. Affleck) di far crescere la divisione basket dell’azienda. Si mette pertanto alla ricerca del giocatore capace di fare la differenza, di far spiccare il volo all’azienda tra le calzature da basket in America (in quel periodo soffriva il dominio del mercato da parte di Converse e Adidas). Insieme al vice del marketing Rob Strasser (Jason Bateman), Sonny adocchia le potenzialità di Michael Jordan e si reca personalmente a casa della famiglia del ragazzo dove incontra la madre Deloris (Viola Davis). Inizia così una serrata trattativa tra i due affinché Michael leghi il suo nome alla Nike… “Air.
La storia del grande salto” è anzitutto un tuffo inebriante nel vorticoso decennio ’80, nel flusso musicale, cinematografico, culturale e della moda oltre che sportivo. Una grintosa e brillante operazione nostalgia che trova immediata presa sullo spettatore. Raccontando la stagione della scoperta di Jordan, il film ci consegna alcune suggestioni interessanti. La prima è la spericolata impresa finanziaria di un gruppo di “visionari”, capaci di intuire e scommettere sulle potenzialità di un giovane, accettando di avventurarsi in accordi economici azzardati che poi hanno fatto la storia dello sport, del marketing e del business in generale. A ben vedere, il film “Air. La storia del grande salto” ci parla del “sogno americano”, del mito del “homo faber fortunae ipsius”, di quella capacità di emergere cambiando corso al proprio futuro. Il manifesto del self-made man a “stelle e strisce” che unisce desiderio, ambizione e gloria, una gloria legata a doppio filo al denaro: è una visione profondamente terrena, materialista. Detto questo, il film di Ben Affleck è assolutamente coinvolgente, il racconto di un’impresa pionieristica, del successo di un team creativo-produttivo, e al contempo della forza trascinante di una madre, Deloris Jordan, che ha saputo osservare e custodire il talento del proprio figlio, accompagnandolo sino al podio più grande.
“Air. La storia del grande salto” funziona, è ben diretto e interpretato, ha grande ritmo e procede con agilità, forte anche di un’atmosfera di grande richiamo, memorabile. E che meraviglia, poi, ritrovare il duo artistico Affleck e Damon, che passati venticinque anni da quell’Oscar non appaiono affatto appannati. Anzi, la loro luce brilla più che mai. Consigliabile, brillante, per dibattiti.