Liberiamoci dalle sue versioni fuorvianti

Che non attraversi un periodo di particolare fascino pare pacifico. Ma di qui a dire che «non c’è più fede in questo mondo » ne corre. Già però la firma del breve e originalissimo saggio su La fede scomparsa. Cristianesimo e problema del credere, appena edito da Morcelliana, mette al riparo da ipotesi apocalittiche – che pure hanno un loro, discutibile, seguito – per portare sulla pista della provocazione intellettuale, tanto più utile in quanto si coglie in giro una certa aria di fatalistica incomprensione dei fenomeni. Perché Adriano Fabris non solo è filosofo di sguardo acuto ma ama sfrondare i suoi ragionamenti da ogni minima traccia di semplificazioni. Specie se a interrogarlo sono questioni epocali come quella che tutti – pastori e laici – ci troviamo a sperimentare: una fede già fragile sembra essersi come arresa davanti alla complessità di un mondo indecifrabile, che il rapido succedersi delle crisi ha reso ancor più apparentemente allergico a letture religiose. A che serve allora la mia fede, se sembra valere solo per me e per quelle piccole comunità di credenti che frequento e vedo? Perché questo senso di inospitalità dell’«età “neomoderna”» come la definisce Fabris? Siamo alla vigilia di una imprevedibile primavera credente oppure il senso di stanchezza e di autoreferenzialità che troppo spesso si respira (anche nella nostra personale vita religiosa) è solo destinato a consolidarsi?

Forse è perché la fede che abbiamo in mente non è fede nel senso proprio:(continua a leggere https://www.avvenire.it/agora/pagine/il-filosofo-fabris-la-fede-non-scompare-se-ci-riprendiamo-il-controllo-dell)