La paura di essere abbandonati nella tragedia

Al 16 febbraio si registrano in Turchia 36.187 morti, 195.962 feriti e centinaia di migliaia di persone che dormono all’aperto. Sono oltre 47.000 gli edifici crollati o gravemente danneggiati in 10 province. Manca acqua per lavarsi, elettricità in alcune aeree, interi villaggi sono ancora isolati. Si prevede un peggioramento della situazione con l’innalzamento delle temperature e si teme specialmente un’epidemia di colera con l’arrivo del caldo. Il morale della popolazione è duramente provato.Il Vicariato di Anatolia lavora su tre fronti. A Iskenderun, p. Antuan Ilgit SJ, Vicario Generale, coordina insieme a John Farhad Sadredin, Direttore di Caritas Anatolia, le persone che vivono in episcopio (le suore del Verbo Incarnato e i fedeli laici) insieme ad altri quaranta volontari.A Istanbul, Caritas Turchia, con l’aiuto di Caritas Italiana, prepara progetti, coordina le Caritas sorelle di varie parti del mondo, fissando obiettivi e organigramma per i prossimi mesi.In Italia, il Vescovo Paolo informa stampa e televisioni, oltre a vari circuiti di contatti; visita istituzioni e persone per organizzare aiuti; coordina il personale di Iskenderun e Istanbul, offrendo criteri e sostegno.A Iskenderun si sta iniziando a esaminare quali siano i danni agli edifici dell’episcopio.Caritas Anatolia distribuisce viveri e altri generi indispensabili, arrivati da organizzazioni sia civili che militari, turche ed estere, sempre in collaborazione con le autorità locali.Oltre all’aiuto materiale per la sopravvivenza, si svolge una delicata opera di misericordia e compassione: si seppellisce i morti, si prega, si conforta aiutando a non smarrirsi nella disperazione. Nella giornata di ieri, dolore su dolore: due parrocchiani sono morti a causa di un incidente stradale.«Il morale e la collaborazione sono encomiabili – commenta Bizzeti – ma comincia a serpeggiare la stanchezza. Da undici giorni non si riesce a fare una doccia! Grazie a Dio, la celebrazione dell’Eucaristia e la preghiera in comune, sostenuti anche dalla fede delle quattro monache del Verbo Incarnato che da due mesi vivono a Iskenderun, sono delle oasi di rifugio e consolazione quotidiane. Agi, Luca, Enrico, Aylin, Julidé, Sezar, Ali e tanti altri sono presenze preziose, umili e sempre in azione. Sacerdoti e laici di altre chiese cristiane sono con noi: l’ecumenismo vero cresce anche così! L’affetto e la preghiera di moltissime persone da ogni parte del mondo, inoltre, sono una cintura di sicurezza protettiva contro un subdolo nemico: la paura di essere abbandonati nella tragedia. La convinzione comune però è che il peggio verrà nelle prossime settimane, appena tornerà il caldo e le notizie su quanto avviene susciteranno molta meno attenzione. Tutti poi sanno che ci vorranno anni di duro lavoro per la ricostruzione. E non mi riferisco solo ai muri… Non dimenticateci!».