Dopo la rivolta in prigione

Al Beccaria fino a ieri sera c’è ancora tensione. I ragazzi dopo la violenta protesta intrapresa nella serata di domenica temono di essere trasferiti. «Sono agitati, sbattono sulle sbarre, chiamano gli assistenti in continuazione per bisogni anche improbabili, sono provocatori a livello verbale» racconta il cappellano dell’istituto di pena, don Claudio Burgio. Una situazione «esplosiva». «Alcuni mi hanno detto “hai visto che siamo rimasti e abbiamo aiutato a mettere a posto?” – aggiunge il sacerdote – per far capire che non assecondano queste “cavolate”. E il loro giudizio su chi è andato via è impietoso: li considerano bambini, immaturi».

Cattivi ragazzi, facinorosi, come i loro coetanei che nel pomeriggio del giorno di Natale, approfittando del personale ridotto all’osso e con la scusa di giocare a pallone sono andati in cortile, hanno scalato l’impalcatura del cantiere, scavalcato il muraglione e sono scappati. Pensavano di farla franca. Ma non sono andati lontano. Stavano dentro, in attesa di giudizio, per reati contro il patrimonio: furti, rapine, estorsioni, compiuti perlopiù in gruppo.

«Cominciano a 14-15 anni quasi sempre rubando al supermercato, per provare un brivido, infrangere le regole, provengono da contesti sociali e familiari poveri dal punto di vista economico, educativo e relazionale» spiega Giovanni Fulvi, presidente del Coordinamento nazionale comunità di tipo familiare per minorenni, che riunisce oltre 300 realtà del settore. «Questi ragazzi vanno intercettati prima che commettano reati più gravi e finiscano in carcere – dice Fulvi –, ma purtroppo non c’è nulla che possa aiutarli perché la scuola non li toglie dalla strada e nelle famiglie, quando ci rimangono, è spesso il padre o un fratello a svolgere attività illecite in cui vengono coinvolti. Poi mancano i servizi nei quartieri: in Italia non si investe più per le nuove generazioni».

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