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I dati ISTAT sulla povertà
I dati sulla povertà assoluta, diffusi ieri dall’Istat, forniscono alcune conferme sul fenomeno, rappresentano un primo riscontro alle politiche di contrasto, ma soprattutto danno indicazioni per il futuro, di cui sarà bene tener conto. Nel 2018, certifica l’Istituto di statistica, la situazione della parte più misera della popolazione non è sostanzialmente mutata rispetto al 2017. I nuclei in seria difficoltà sono rimasti stabili a 1,8 milioni (con un’incidenza del 7%) per un totale di circa 5 milioni di persone in povertà assoluta, l’8,4% della popolazione. Ciò significa che il Reddito di inclusione (Rei) – progettato durante i governi Letta e Renzi, poi messo in opera dall’esecutivo Gentiloni a partire proprio da gennaio 2018 – non ha inciso in maniera significativa sull’area del bisogno. E questo nonostante l’ultimo monitoraggio dell’Inps testimoni che il Rei, prima di essere abolito, aveva raggiunto all’inizio di quest’anno 505mila nuclei familiari per un totale di 968mila persone “coperte” dalla misura di sostegno.
Com’è possibile, allora, che in un anno la povertà assoluta non sia per nulla diminuita (meno 18mila persone in valore assoluto, lo 0,1% in più però come incidenza familiare)? Una prima risposta è che le politiche di contrasto alla povertà – che non si basano solo sull’erogazione di un assegno ma prevedono l’accompagnamento delle persone perché superino le cause che determinano la loro condizione – hanno bisogno di tempo per esplicare i loro effetti. Un’altra risposta, certamente sbrigativa ma non meno vera di quella più complessa e saggia che precede, è che l’importo di sostegno effettivamente erogato con il Rei – mediamente da 146 euro per una persona sola a 428 euro al mese per una famiglia di 6 o più componenti – era troppo limitato per determinare una svolta reale per i nuclei che non hanno accesso a beni essenziali.
È un bene dunque che, da marzo, sia stato introdotto il Reddito di cittadinanza con una dotazione finanziaria tripla rispetto al Rei e con la previsione di un assegno teorico che parte da un minimo di 500 euro (più 280 per l’affitto). Al momento, l’erogato medio effettivo è di 540 euro mensili a un milione circa di nuclei familiari.
I dati dell’Istat, però, confermano anche altre tre tendenze fondamentali: anzitutto che la povertà assoluta colpisce in maniera più forte le famiglie con figli (con 3 minori l’incidenza è tripla, al 20%, peggio nel caso di famiglie monogenitoriali), le coppie giovani (mentre più sale l’età, minore è la misura della miseria) e i nuclei di origine straniera con bambini. Addirittura il 30%, quasi un terzo, di queste famiglie risulta privo dei beni essenziali per uno standard di vita accettabile.
L’indicazione da cogliere, allora, è che sono queste le tre aree di intervento su cui focalizzare maggiormente gli sforzi. Purtroppo, invece, il Reddito di cittadinanza, come abbiamo sottolineato ancor prima che fosse approvato, fa l’esatto contrario: privilegia il singolo con l’erogazione relativamente più alta, prevede una scala di equivalenza poco generosa che penalizza i nuclei con figli, guarda più agli anziani con la pensione sociale che ai minori e, infine, con il requisito della residenza decennale esclude dai sostegni anti-povertà molti degli stranieri regolari e perfino degli italiani senza fissa dimora.
Un solo dato conforta: lo studio, e la conseguente maggiore possibilità di trovare una buona occupazione, restano le “armi” migliori per affrancarsi dal bisogno. Investire in istruzione e formazione, dunque, paga.
Ma nell’attesa che i navigator – ieri alla prova d’esame – compiano il vero ‘miracolo’ di trovare un lavoro a tutti i percettori del Reddito di cittadinanza, converrà studiare i necessari correttivi alla legge per evitare di trovarsi tra un anno, anziché con la ‘povertà abolita’, con nuovi dati Istat di poco differenti da quelli di oggi. Perché, parafrasando il Vangelo, i poveri – e i furbetti – li avremo sempre con noi. Ma non perché esistono anche i truffatori possiamo rinunciare ad aiutare in maniera adeguata ed efficace chi non ha nulla. Prima gli ultimi e i piccoli. Almeno nella nostra attenzione, e anzitutto in quella della politica.