Caritas

In una Regione benestante come l’Emilia Romagna c’è un elemento che inficia profondamente la stabilità economica di un’intera fascia di popolazione, quella a reddito medio basso. È in corso, infatti, una vera e propria emergenza abitativa, che, se nel capoluogo coinvolge prevalentemente gli studenti universitari, a causa della carenza di alloggi a disposizione, in tutto il resto del territorio mette a dura prova le famiglie. «Non occorre essere poveri per restare senza casa, ma senz’altro, quando succede, si rischia di diventarlo davvero ». A spiegarlo è Luca Gabbi, direttore della Caritas imolese che, insieme al gruppo cooperativo Solco, gestisce un progetto denominato Homing first.

«C’è la famiglia monoreddito che non riesce ad aumentare i propri introiti e, dunque, a permettersi un affitto a mercato. La madre sola con figli che guadagna 700 euro al mese in una città come Imola dove gli affitti a canone calmierato si aggirano in media sui 400-450 euro al mese. Ci sono lavoratori precari che forse guadagnerebbero abbastanza, ma che in assenza di stabilità lavorativa non trovano nessun proprietario immobiliare che accetti di affittare loro la casa. Poi ci sono gli stranieri, anche se sono solo il 17%, che lavorano stabilmente ma vanno incontro a pregiudizi oppure, semplicemente, non possono permettersi, in aggiunta al canone di locazione mensile, di versare anche sei mensilità di anticipo o fidejussione, oltre a fornire referenze, sottoscrivere polizze assicurative e ad assecondare altre richieste dei locatori ». Così descrive Gabbi i beneficiari del progetto che, ad oggi, sono stati «51 nuclei familiari, per la quasi totalità italiani e con figli, a volte disabili». Per queste famiglie non bastano i servizi sociali, perché «le liste di attesa per l’alloggio di edilizia residenziale pubblica a Imola, come in altre zone della Regione, è infinita e ogni anno solo una decina di appartamenti vengono resi disponibili, per giunta a persone con redditi molto bassi. Dunque c’è tutta una fascia di popolazione in difficoltà che non ha speranza di essere accolta e rischia di scivolare sempre più in basso verso la povertà assoluta, invece che di risollevarsi ». Se il compito di Caritas è individuare i beneficiari, insieme al servizio pubblico, quello del gruppo cooperativistico Solco è di mettere in gioco competenze gestionali e professionali che rendano sostenibile il progetto. «Al momento disponiamo di 31 appartamenti, che sono destinati ad aumentare» spiega Luca Dal Pozzo, che è presidente del consorzio, ma anche di Confcooperative Federsolidarietà Emilia Romagna. «Gli alloggi sono messi a disposizione da enti pubblici, religiosi, privati. Quelli pubblici ci vengono dati perché non possono essere assegnati così come sono, ma allo stesso tempo il Comune non ha i fondi per ristrutturarli e restano vuoti. Noi, grazie alle cooperative di tipo A e B che partecipano al gruppo, ci facciamo carico di metterli a posto per renderli abitabili. Spesso – continua – lo facciamo fare agli stessi assegnatari, perché li assumiamo nelle nostre imprese cooperative ». Non è dunque assistenziale il modello proposto da Homing first e neppure semplice «abitare sociale», ma è «un vero e proprio accompagnamento a ritrovare l’autonomia, in modo economicamente sostenibile e che produca benefici tangibili per tutti». Infatti, la soluzione alloggiativa «viene proposta solo in via transitoria, dietro al versamento di un corrispettivo che si aggira, in media, sui 200 euro al mese: non abbiamo inquilini morosi». A dimostrazione che il modello funziona, conclude Dal Pozzo, «nessuno rimane con noi a lungo. Per l’immediato futuro il Solco ha in programma l’acquisto di altri appartamenti, con un forte investimento finanziario che avrà ricadute positive sull’economia di tutto il territorio».