La legge sul fine vita

Spirito di collaborazione, ma posizioni ancora distanti. La politica fatica a trovare la quadra sul suicidio assistito, con la proposta di legge che approderà lunedì 13 dicembre nell’aula di Montecitorio. Con tutta probabilità, l’eventuale approvazione in prima lettura non potrà intervenire prima di febbraio, archiviate l’elezione per il Quirinale, con la palla che passerà poi al Senato.

È terminato il lavoro delle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali, che hanno discusso i quasi 400 emendamenti presentati al testo base del deputato Pd Alfredo Bazoli, relatore della legge insieme al 5s Nicola Provenza. Bazoli, capogruppo del suo partito in commissione Giustizia, rivendica di aver delineato e proposto un testo fedelmente improntato alla sentenza 242 del 2019, quella del caso Cappato-Antoniani con cui la Corte costituzionale indicò le condizioni necessarie perché un malato grave possa accedere al suicidio assistito. Ma tanto alla sua sinistra quanto alla sua destra, all’esito della votazione degli emendamenti, c’è chi lo accusa di aver voluto restringere o allargare le disposizioni della Consulta. Della posizione dei primi si fa partecipe il radicale Marco Cappato: il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni parla di «frettoloso passo indietro rispetto alla stessa sentenza», portando come esempio l’introduzione nella bozza dell’«obiezione di coscienza» e l’esclusione della «sofferenza di natura solo psichica».

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