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A scuola
In programma ci sono lo studio della Costituzione, delle istituzioni nazionali e dell’Unione Europea, la storia del Tricolore e del Canto degli Italiani, o Inno di Mameli. Ma anche l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, di cui finora, oltre ai lettori di Avvenire, in pochi purtroppo avranno sentito parlare con qualche continuità e profondità. E ancora tante altre tematiche fondamentali: da come diventare “cittadini digitali” fino al rispetto dell’ambiente e all’educazione alla legalità. Suona come un autentico “libro dei sogni”, la legge sulla reintroduzione dell’Educazione civica nelle scuole, approvata giovedì 1 agosto in via definitiva dal Senato.
E lasciamo stare il fatto che, secondo i critici, non lo sia affatto, visto che «mancano i fondi» (chi l’avrebbe mai detto) e che non ci sarà un insegnante dedicato, quindi la trasversalità rischia di disperdere e polverizzare i contenuti. Accantoniamo per un po’ queste osservazioni, che pure appaiono in tutto o in parte fondate, limitandoci all’auspicio che quel che c’è da migliorare venga migliorato.
L’approvazione della legge resta infatti una buona notizia in sé. Non soltanto perché questo giornale sostiene da anni, accompagnando la battaglia disarmata di quel gran pedagogista che si chiama Luciano Corradini, la necessità di prevedere una seria Educazione civica nei programmi scolastici. Ma, in primo luogo, perché l’educazione civica, intesa come esercizio quotidiano, è una delle virtù di cui l’Italia ha bisogno e che tanti italiani sembrano aver perso per la strada in questi anni difficili. L’allarme rosso emerso dagli ultimi test Invalsi sul dilagare dell’analfabetismo funzionale tra i nostri studenti medi (non parliamo degli adulti, non per mancanza di dati statistici, ma per carità di Patria) va a braccetto con un analfabetismo civico, un deficit di cittadinanza, che è sotto gli occhi di tutti. E il disprezzo delle regole e delle norme, il bullismo (cyber e no), il sessismo, le discriminazioni di ogni genere, l’odio distillato goccia a goccia e assimilato quotidianamente, le fake news, sono figli dell’analfabetismo civico assai più che della non padronanza della nostra lingua.
Lo scopo dell’Educazione civica, come di altre discipline fondamentali (pensiamo alla Storia, alla Geografia) che in alcune scuole superiori vengono ormai incredibilmente trattate da materie “minori”, non è quello di sfornare adoratori acritici dello Stato, ma di formare – e Aldo Moro questo aveva in mente quando l’inventò nel 1958 – cittadini liberi, consapevoli dei propri diritti e doveri, rispettosi dei diritti degli altri e delle leggi. In grado, perciò, anche di contestarle o di cercare di cambiarle in maniera civile e democratica, le leggi, qualora non le ritengano giuste. «Conoscere per deliberare», è una celebre frase del presidente Luigi Einaudi che andrebbe recuperata e valorizzata, in un tempo in cui spesso delibera chi meno conosce.
Ma il voto dell’1 agosto al Senato è una buona notizia anche per come è arrivato: 193 voti favorevoli, 38 astenuti, nessuno contrario. Alla Camera, in maggio, furono 451 i “sì”, 3 gli astenuti e zero i “no”. Questo a dimostrazione che la politica può anche non essere il “derby” permanente al quale ci hanno abituato la cosiddetta Seconda Repubblica e questa, sedicente, Terza. A dimostrazione, soprattutto, che il Parlamento conserva la sua centralità in quella che, fino a prova contraria, rimane appunto una Repubblica parlamentare.Una bella lezione di Educazione civica, si direbbe, per i tanti (di ogni fazione) che da anni provano a smontare, neutralizzare o svilire tale istituzione, le sue funzioni, la rappresentanza del voto di tutti i cittadini (anche di quelli, per dirla con un gergo in voga, che hanno “perso” le elezioni), l’autonomia dei singoli parlamentari «senza vincolo di mandato», come recita la Costituzione. Anche questo, speriamo, studieranno i nostri ragazzi. Il resto è una sfida che spetta alla scuola italiana. Una sfida decisiva, che non ci si può permettere di perdere: troppa è la strada da recuperare, troppi i cattivi esempi, troppi i pezzi da rimettere insieme.