La vera libertà è da dolore e solitudine

«Liberi fino alla fine» è lo slogan dei sostenitori della campagna referendaria finalizzata, in sostanza, alla legalizzazione dell’eutanasia. È uno slogan accattivante, chi non sarebbe d’accordo? Ma se, approfondendo un po’ la questione, si capisce che si tratta della libertà di dare la morte, o di darsela con l’aiuto altrui, e in particolare della medicina, allora penso che l’«accordo » non è più così scontato. Se vogliamo parlare un po’ del ‘fino alla fine’, allora questo è proprio il mio mestiere, o meglio, la mia professione, forse anche un po’ la mia missione.

Dirigo un hospice da oltre 15 anni, ricoveriamo oltre 200 pazienti l’anno e altre centinaia ne seguiamo, soprattutto oncologici, in quelle che sono oggi definite «cure palliative precoci ». L’obiettivo delle cure palliative, e degli hospice in particolare, è offrire cure proporzionate, senza accanimenti ma anche senza abbandoni, a persone con malattie inguaribili, quando le cure specialistiche non sono più efficaci e il controllo del dolore e degli altri sintomi, il supporto psicologico, sociale e spirituale del malato e della sua famiglia diventano essenziali per garantire la migliore qualità di vita, fino alla fine. È interessante, a mio avviso, far notare che nella nostra esperienza di migliaia di pazienti seguiti – naturalmente mi assumo la responsabilità di quel che dico – non abbiamo mai raccolto richieste vere e proprie di eutanasia o di suicidio assistito. Tranne in due casi, uno molto recente di una persona già pronta ad andare in Svizzera. In entrambi i casi un percorso accettato, non senza travaglio, di cure palliative e – nel caso della Svizzera – anche di ricovero in hospice, hanno fatto cambiare traiettoria alla scelta, da una morte anticipata a una morte accompagnata. «Da quando sono qua mi sento serena, sia mentalmente che fisicamente.

«La medicina non è mera esecutrice, piuttosto deve garantire sempre le migliori cure E intanto va applicata davvero la legge 38»

Il tumore è stato mio compagno di viaggio, vi sembrerà strano ma mi ha fatto compagnia» ci ha scritto G., la protagonista del mancato viaggio oltrefrontiera. Ora se n’è andata, come voleva, ma il tempo vissuto in più è stato un tempo guadagnato, per tutti, per lei, per i suoi cari, per noi curanti. Cicely Saunders, la dottoressa che ha fondato il primo hospice – il St. Cristopher a Londra – e ha dato il via al movimento delle cure palliative, diceva a ognuno dei suoi pazienti: «Tu sei importante perché sei tu, e sei importante fino alla fine della tua vita».

Riconoscere il valore della persona in qualunque circostanza e aiutarla, anche se fortemente limitata dalla condizione di malattia, a riconoscersi nel suo valore, nel suo senso di stare al mondo, combattendo la sofferenza con ogni mezzo, ma riconoscendola anche come possibile compagna di viaggio, ma più leggera, è anche compito delle cure palliative. Ce lo ricordava la stessa Saunders parlando del rischio dell’eutanasia: «Il movimento contemporaneo che sostiene l’eutanasia volontaria, che oggigiorno si esprime in diverse forme in tutto il mondo, chiede di legalizzare l’abbreviamento di questo tempo, per chi lo richiede. Pur comprendendo questo genere di desideri nel caso in cui non si possa usufruire di buone cure e altre priorità sem- brano più simili a un sogno lontano, sorgono obiezioni fondamentali a questa soluzione.

L’esistenza di un’opzione legale per una via rapida che porti alla morte implica una scarsa considerazione del valore della persona che sta morendo e del viaggio che sta conducendo. Chi lavora a stretto contatto con le persone in questa situazione potrebbe affermare quale grande perdita può arrecare alla persona che sta morendo e alla sua famiglia ‘un rapido taglio’». Le cure palliative danno a questo «tempo che rimane» la possibilità di non essere sofferto, di viverlo in compagnia, di sfruttarlo per portare a compimento la propria vita, per sciogliere nodi e stringerne altri, conservando una dignità che non consiste nel mantenere abilità ormai perdute ma nel riconoscerla nello sguardo degli altri.

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