Nella memoria di Pio Alberto del Corona

Domani alle 18 nella chiesa di S. Caterina il vescovo Simone celebrerà una Messa nella memoria liturgica del beato mons. Pio Alberto del Corona: il primo livornese agli onori degli altari. Un uomo, un sacerdote, un vescovo già acclamato in vita come santo. Originario del quartiere della Venezia è oggi una figura da riscoprire nella vita e negli scritti che ci ha lasciato.

Nel settembre del 2015 la cerimonia di beatificazione (guarda il video https://www.youtube.com/watch?v=IXZNGaQim8Y) dopo il processo istituito dalla diocesi di S. Miniato di cui fu Vescovo. (guarda il video di mons. Giusti che commenta la beatificazione https://www.youtube.com/watch?v=TjcxUnAz4fY)

Guarda il video che racconta la vita di mons. del Corona https://www.youtube.com/watch?v=jy0-JG3eKxg

Chi era Pio Alberto del Corona

Nacque a Livorno il 5 luglio 1837 da modesti negozianti di calzature, nel quartiere di «Venezia», il rione più popolare della città. Pieno di vivacità, di ingegno versatile e pronto, inclinato alla pietà e alle cose della chiesa, alla scuola dei Barnabiti, si segnalò nel profitto delle lettere e della filosofia. Entrato a 17 anni nel convento domenicano di S. Marco a Firenze, diede esempio di umiltà, ubbidienza e applicazione nello studio della teologia e delle lingue orientali. Ordinato sacerdote nel febbraio dei 1860, si distinse come umile asceta, sacerdote e vescovo zelante, eloquente predicatore. forbito scrittore, maestro dotto e diligente. È rimasto di lui un «Orario» documento rivelatore della sua vita di relazione con Dio: passava notti in preghiera, praticava discipline e digiuni. Di giorno, alternava all’insegnamento lunghe ore di confessionale e di direzione spirituale. Ottimo oratore, spezzò il pane della Parola di Dio predicando ai dotti con profondità di argomenti e all’umile popolo con sorprendente semplicità. Livorno lo ascoltò più volte, e particolarmente in occasione del 2° centenario dell’incoronazione della Madonna di Montenero (1890) e del Primo Congresso Nazionale Mariano tenutosi a Livorno nel 1895. E sempre ne trasse conforto spirituale e rafforzamento nella fede. Anche negli scritti, accanto alle altezze delle «Elevazioni sopra l’Eucarestia» e dei «Quattro cardini della felicità», si trovano le agevoli esposizioni della «Piccola Somma Teologica» e delle «Rose di Maria» (pubblicate su «Settimana religiosa di Livorno», di cui fu prezioso collaboratore). Gli impegni religiosi e scolastici nel convento di S. Marco e nel seminario di Firenze non gli impedivano contatti con le realtà sociali: e nel 1872 fonda l’Asilo delle Suore Domenicane della Pietra. Nel 1874, per tamponare l’incresciosa situazione della Diocesi di San Miniato, Pio IX pensa al giovane domenicano che si rassegna soltanto quando il vecchio Pontefice esclama, quasi implorando: «Per amor di Dio, della Vergine, di S. Pietro ed anche per amore di questo povero vecchio, andate e state». Consacrato dallo stesso Papa il 3 gennaio ’75 col titolo di Vescovo di Draso, il successivo 18 fece il suo ingresso in S. Miniato, accolto dal suono delle campane e dalle grida festose di una grande folla che lo costrinse a scendere dalla carrozza e a procedere a piedi fino alla Chiesa di S. Domenico dove l’attendeva il clero. Prese alloggio nel convento dei domenicani e si mise subito in moto, cominciando con una visita senza preavviso a S. Croce, nome che gli parve augurale. La delicatezza della sua posizione – scrive Mons. Simoncini. attuale Vicario Generale – venne subito a galla per le proteste di Mons. Barabesi che allegava insistenti sconfinamenti di giurisdizione… le difficoltà furono lentamente superate per la delicatezza e l’umiltà dell’Amministratore; alla diffidenza subentrò la stima e l’amicizia. Alla morte del Barabesi, Mons. Del Corona confessava di «aver pianto». Per quella morte, Mons. Del Corona, senza altra nomina, restò vescovo effettivo di S. Miniato. Il 10 marzo giunse il sospirato «exequatur» e il Vescovo ne dette notizia alla Diocesi con una lettera giubilante. Si pubblicò un numero unico, si volle che il Vescovo ripercorresse a piedi, fra due ali di popolo festante, la via da S. Martino alla Cattedrale. Poco dopo si trasferì in episcopio, riportando la Diocesi, anche ufficialmente, alla normalità. La verità, la carità, l’umiltà è il trinomio che scandì la sua missione di Vescovo. L’amore lo portava a prodigarsi in mille modi; la generosità nel donare non conosceva limiti. Il popolo lo amava, lo attendeva, lo acclamava; e grandi gioie gli vennero dalle laboriose conquiste di tante anime che ripagavano le molte sue situazioni di dolore. Ebbe molte sofferenze, fisiche e morali, ma sempre sereno ripeteva: «Beato chi si sente onorato di portare la Croce con Gesù Cristo». E ringrazia la Conferenza di S. Vincenzo dei Paoli, alla quale aveva aderito a 14 anni, quando annota «mi educò agli spettacoli del dolore e dell’amore».

Attento al flusso della vita, favori in ogni modo le opere a carattere sociale, dalle società operaie ai circoli ricreativi. Scrisse ben 37 lettere Pastorali nelle quali si riflettevano tensioni e problemi del suo tempo. Parlando degli aiuti ai bisognosi precisava: «Sono da biasimare quelle donazioni filantropiche, ove, come asseriva Ozanam, corre il denaro ma non palpita il cuore». E al secondo Congresso Cattolico Italiano, tenuto a Fiesole nel 1875, dichiarava: «Ecco la divisa e l’emblema di ogni Congresso: “La verità nell’amore e l’incremento di vita in Cristo”». Fisicamente stanco dopo tante fatiche e colpito da gravi disturbi, si ritirò nel convento domenicano di Fiesole. Ma il male rincrudiva e volle essere trasferito al Monastero della Pietra, detto l’Asilo, «l’Opera del suo amore» da lui diretta e formata. Le suore lo curarono con amorevole affetto ma ormai si prevedeva la fine. Così Mons. Bardi racconta la sua morte: «L’anima sua confortata dai Sacramenti pre intonava, quasi già libera dagl’impacci corporei, i cantici dell’eternità beata: “Andremo, sospirava, andremo esultanti alla casa del Signore! “. E in quegli estremi, avvertendo sensibilmente la decomposizione della sua carne, contrappose, consolandosi la trionfale certezza della risurrezione: “Sono logoro – disse – ma per l’Assunta rifiorirò “. Era la notte del 15 agosto 1912, la notte precedente alla solennità dell’Assunta; e, conscio dell’ora, e sollecito di voler essere fino all’ultimo vero figlio di S. Domenico, “cantatemi, disse, cantatemi la Salve Regina! “. Poi chiese gli fosse recitato l’inno alla Santissima Trinità che egli aveva quasi continuamente sulle labbra: Adesto, Sancta Trinitas, par splendor una Deitas. Sii propizia a noi, Trinità santa, che sei uno splendore eguale ed una sola divinità». Per 37 anni aveva retto la diocesi di San Miniato, come Amministratore apostolico, poi Vescovo residenziale; fu onorato del titolo di Assistente al Soglio Pontificio e infine nominato Arcivescovo Titolare di Sardica. Ora attende da parte della Chiesa il riconoscimento delle sue eroiche virtù. La diocesi di San Miniato iniziò nel 1942 ed ora porta avanti la causa della sua canonizzazione.