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Vangelo secondo Maria
Nazareth, Maria è una giovane in età da matrimonio. È la volontà dei genitori Gioacchino e Anna, che la vorrebbero più pacata e obbediente alle regole sociali. Maria però ha desiderio di conoscenza, sogna di recarsi ad Alessandria per poter imparare e allargare i propri orizzonti. Per questa sua ribellione viene costretta alle nozze con Giuseppe. Tra i due nasce subito un’intesa: tra loro non ci sarà un vero matrimonio, bensì un rapporto tra maestro e discepolo. Maria vede in Giuseppe, anche per la sua età più matura, un uomo di scienza, di sapere, capace di prepararla ad affrontare il grande viaggio verso l’Egitto. I piani della giovane vengono però sovvertiti dalla visita di un angelo, che le rivela la volontà divina: portare in grembo il figlio di Dio…
Valutazione Pastorale
È un’altra storia. Una rilettura della figura di Maria lontana dalle fonti bibliche, ma a partire da un romanzo di finzione firmato dalla scrittrice-sceneggiatrice Barbara Alberti (Rizzoli). Parliamo del film “Vangelo secondo Maria” – titolo allusivo, segnato da furbizia – di Paolo Zucca, una produzione Sky Original, Indigo Film e La Luna. Protagonisti Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann, affiancati da Lidia Vitale, Leonardo Capuano, Giulio Pranno, Fortunato Cerlino e Maurizio Lombardi. Il film prende le mosse dal romanzo della Alberti uscito nel 1979, segnato dalla cornice sociale e culturale del tempo, uno sguardo di rottura e contestazione riguardo la figura della donna, l’affermazione della sua libertà nella dimensione familiare e sociale. “Vangelo secondo Maria” intercetta tali temi, con un ancoraggio alla dimensione del nostro presente, raccontando il cammino di formazione della giovane Maria, accesa da un desiderio di conoscenza e scoperta del mondo, che trova in Giuseppe un alleato capace di aiutarla a rompere i rigidi schemi del tempo. Non serve scomodare la teologia, entrare nelle pieghe del film e tracciare i rimandi con il Testo Sacro. Qui, al di là della cornice temporale e della scelta delle figure religiose, in primis Maria e Giuseppe, di biblico o sacro c’è ben poco.
Il regista-sceneggiatore Paolo Zucca – suoi sono “L’arbitro” (2013) e “L’uomo che comprò la Luna” (2018) –, insieme all’autrice del romanzo Barbara Alberti, hanno voluto dare forma a una lettura ipotetica, mettere in campo una suggestione artistica che si muovesse sulle ascisse e le ordinate della “più grande storia mai raccontata”. In primo piano c’è la caratterizzazione fortemente umana, dalle sfumature contemporanee, di Maria, come ragazza ribelle e accesa dal desiderio di conoscenza, che custodisce in segreto un progetto di fuga verso Alessandria, meta per abbeverarsi del sapere. Una giovane donna che non pensa minimamente al matrimonio né all’obbedienza verso i genitori Gioacchino e Anna, che nel film sono marcati con tonalità fin troppo dure e spigolose, espressione di una cultura patriarcale dominatrice e repressiva: evidente, dunque, la forzatura per spingere la riflessione sul tema del patriarcato oggigiorno al centro del dibattito. Maria sogna la libertà, pensa persino a una fuga. Quando le viene imposto il matrimonio con Giuseppe – i genitori “barattano” la giovane per poche capre –, per lei si apre un orizzonte di possibilità: conosce già l’uomo, vede in lui tratti gentili e soprattutto sapienza; accetta pertanto l’unione di buon grado, concordando però con lui un legame casto, finalizzato solo al rapporto formativo tra maestro e discepolo. Poi nel racconto fa irruzione il sacro, l’annunciazione della volontà di Dio tramite un angelo – la raffigurazione dell’angelo è di certo uno dei passaggi in cui il film sbanda di più, perdendo pathos a favore di una scivolata macchiettistica –, ossia la rivelazione che porterà in grembo Gesù. Maria accoglie la grazia, ma nel film non l’abbandona mai il pensiero che tutto sommato non sia davvero una libera scelta. Si chiede, visto che tutto è già scritto, dove siano i confini del suo libero arbitrio. Grida, si arrabbia, sfida il Signore, mostrando tutta la ribellione di una donna (di oggi) contro imposizioni superiori. Paolo Zucca e Barbara Alberti si “appropriano” di figure religiose, dei temi del sacro, che sono ampiamenti condivisi e conosciuti dai più, per farne una storia che sappia parlare al presente.
Una storia che accosti il proto-femminismo, la costruzione della propria voce autonoma nel tessuto familiare e sociale, come pure l’edificazione di un rapporto d’amore che muova da logiche di senso e non di costrizione. A ben vedere, uno dei tratti più interessanti del film è proprio la traiettoria dell’amore tra Maria e Giuseppe: nasce come accordo di “convenienza”, per un bisogno di formazione e indipendenza, per approdare nel corso della narrazione a una dimensione di conoscenza, fiducia e tenerezza. Maria e Giuseppe costruiscono un rapporto fiduciario su cui poi sboccia un vero amore. Se pertanto la linea di racconto lascia non poco perplessi, con azzardi interpretativi discutibili, il regista Zucca dimostra però raffinatezza nella costruzione visiva, ricreando Nazareth in una Sardegna dell’entroterra aspra e incontaminata. Uno scenario che evoca la scelta compiuta cinquant’anni fa da Pier Paolo Pasolini con Matera per il suo “Vangelo secondo Matteo” (1964). I precedenti. L’operazione di Zucca con “Vangelo secondo Maria” non è di certo nuova né originale, ma debitrice di una riflessione ampia e consolidata nella storia del cinema. Il rapporto tra cinema e religioso, sacro, risale sin dai primi passi della settima arte.
Nel corso del XX e XXI secolo numerosi sono stati i racconti, soprattutto cristologici, compiuti tra Europa e Hollywood. E il cinema si è spesso discostato dalle fonti riconosciute, dai Testi Sacri, per dare corpo anche a visioni marcate da finzione, giocate ora in chiave poetica ora provocatoria: è il caso di “Jesus Christ Superstar” (1973) di Norman Jewison dal musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, come pure de “L’ultima tentazione di Cristo” (1988) di Martin Scorsese dal romanzo di Nikos Kazantzakis. E ancora, possiamo richiamare le suggestioni poetiche degli italiani Alessandro D’Alatri con “I giardini dell’Eden” (1998) e Guido Chiesa con “Io sono con te” (2010), che si sono addentrati con le loro narrazioni in anni non documentati sulla giovinezza di Gesù o l’infanzia di Maria. L’aspetto interessante del lavoro di Zucca risiede certamente nello sforzo di “umanizzazione” della figura di Maria, di volerla rendere il più possibile terrena, imperfetta, comprensibile alla contemporaneità. Una soluzione su cui aveva scommesso anche Pasolini ne “Il Vangelo secondo Matteo”, raffigurando Maria in età adulta, quando Gesù affronta il cammino della Passione e della morte in croce, una donna anziana con i segni del tempo, vinta dal dolore. Per interpretarla scelse sua madre, Susanna, che quel dolore lo aveva conosciuto bene, perdendo un figlio, Guido, durante gli ultimi fendenti del Secondo conflitto mondiale.
“Vangelo secondo Maria” non sboccia quindi su un terreno culturale isolato, ma si riconnette a un fermento cinematografico di lungo corso. L’espediente narrativo muove di certo da istanze socioculturali, cercando di fondere carica di contestazione e dimensione poetica. Il risultato però è incerto, non pienamente convincente né condivisibile, che trova forza nella dimensione estetica messa a punto da Zucca e nell’indubbia qualità interpretativa degli attori. Complesso, problematico, per dibattiti.