Diocesi
Missio ad gentes: è necessaria?
La domanda posta come titolo, è una domanda retorica per la comprensione, oggi, della missione. Con questo termine per anni abbiamo inteso la missione alle genti come l’azione della Chiesa nei paesi dove non era giunto ancora l’annuncio dell’Evangelo. Oggi l’autocomprensione della Chiesa ci porta a dire che missione non è più andare in Paesi lontani, ma è una dinamica propria di ogni azione ecclesiale. Oggi, più che mai, potremmo dire che siamo chiamati ad essere missionari “a casa nostra”. Oggi la missione è la dinamica che dovrebbe portare ogni cristiano a testimoniare il messaggio cristiano ed esserne responsabile con la propria condotta di vita.
Non è più il tempo di partire, se non uscire dalle nostre case, dalle nostre chiese e andare per le strade della nostra città e farsi riconoscere come cristiani, ed annunciare con la gioia della nostra vita quella Verità bella che si chiama Gesù Cristo.
Gli orientamenti pastorali vanno in questa direzione: quella di trovare la via perché si possa fare esperienza di Gesù Cristo.
Com’è possibile oggi fare esperienza di Cristo?
Come il Consiglio Pastorale Diocesano si è espresso negli Orientamenti, che saranno consegnati l 8 settembre, non è semplice fare esperienza di Cristo oggi in un mondo e in una Chiesa in cui spesso vince la paura e la rassegnazione. Il vangelo di riferimento è infatti il brano dei discepoli di Emmaus, e come loro spesso le nostre comunità sono nella di-sperazione (nella mancanza di speranza), ma come loro se riusciamo a vivere Cristo, nell’esperienza dell’ascolto della Scrittura e nell’Eucarestia, è possibile ripartire con nuovo slancio e nuova gioia per annunciare, anche attraversando il buio del mondo, la Speranza.
Questo è quanto il Signore ci chiama ad essere: testimoni della Speranza perché abbiamo fatto esperienza di Cristo Risorto.
Riportiamo qui di seguito alcuni passaggi che troviamo nella seconda parte degli orientamenti pastorali, che per dare alcune risposte queste domande partono da una nuova azione nella nostra Chiesa diocesana di apertura all’altro attraverso il catecumenato e la Caritas.
Siamo chiamati ad affrontare una cultura che si mostra nella veste di un “politeismo” dei saperi e dei valori, in una compagine quanto mai variegata e plurale di visioni. Nel mondo del disorientamento e dei legami deboli, mentre, non da oggi, assistiamo alla rottura tra Vangelo e cultura (Evangelii nuntiandi), come costruire quadri di riferimento condivisi, nutriti di significati da riscoprire continuamente? In altre parole, di quale cultura siamo capaci? Si può continuare a parlare di salvezza, di felicità, di vita umana, di morte e di risurrezione, ma correndo il rischio di non comunicare più nulla se non si tiene conto dei cambiamenti antropologici, della diversità e pluralità di significati che ciascuno conferisce alla propria esperienza di vita, della ricerca postmoderna di un benessere psico-fisico e spirituale sganciato dalla relazione con Dio, della “fede” nell’intelligenza artificiale. Le parole dell’evento cristiano, si pensi, per esempio, alla professione di fede di Nicea, non andrebbero nuovamente tradotte e offerte attraverso una nuova mediazione linguistico-concettuale? Il cristianesimo sembra essere segnato da una sorta di “cultura del declino”. Anzitutto, è da segnalare il rischio di un’assuefazione vittimistica alla questione numerica. In questo contesto ci domandiamo: “Come è possibile fare oggi una esperienza del Dio di Gesù Cristo in una società che lo ha messo ai margini?”
Si tratta di un interrogativo che, però, il cristianesimo deve iniziare a rivolgere a se stesso. A poco serve, infatti, continuare ad attardarsi su analisi riguardanti il cambiamento d’epoca, la fine della cristianità, il tramonto del cristianesimo sociologico e l’avanzata del secolarismo, se non attiviamo il coraggio di un passo ulteriore che può essere così declinato: se la cultura occidentale non è più ospitale nei confronti dell’annuncio cristiano, è altrettanto vero che il cristianesimo deve saper interpretare le sfide del contesto, in un dialogo scevro da manie di superiorità morale e da elementi di clericalismo. In questo orizzonte la Diocesi di Livorno “investe” sul Catecumenato.
Il Catecumenato infatti: è la cartina di tornasole della capacità attrattiva di una Chiesa locale. È il segno di una Chiesa che vive il primato dell’evangelizzazione.
È l’espressione di una Comunità capace di essere adulta con gli adulti di oggi Per prima cosa sarà quindi necessario condividere un progetto pastorale per l’evangelizzazione dei livornesi. Esso farà perno su un’azione di sensibilizzazione verso le parrocchie, le Comunità sono chiamate ad avere nell’ eucarestia vissuta, celebrata e adorata, il centro della loro azione missionaria. Ogni comunità è esortata quindi a individuare e sostenere nella formazione, laici disponibili ad accogliere il ministero del lettorato per essere gli accompagnatori dei catecumeni che la Provvidenza donerà. A livello diocesano sorgerà un Centro di ascolto diocesano per coloro che sono desiderosi di divenire cristiani. Il cammino formativo dei catecumeni sarà un intreccio di momenti parrocchiali e diocesani. Ogni catecumeno al fine di radicarsi nella propria comunità, sarà invitato ad assumere un impegno di servizio. Sarà opportuno che ogni catecumeno sia accompagnato da un padre spirituale per introdurlo ad una propria ricca vita spirituale.
La Caritas
Meta dell’anno: le Caritas parrocchiali quali luoghi di ascolto capaci di intercettare domande di povertà e promuovere un accompagnamento spirituale della persona. Conoscenza e nascita dei Centri di Ascolto delle Caritas parrocchiali. Formazione degli Operatori parrocchiali, promozione del ministero per lo “Sviluppo Umano”. Celebrare a novembre, la GM dei Poveri, con le persone accompagnate dalle Caritas parrocchiali.
Caritas e Consulta diocesana per la Carità
– Incontro e S. Messa con il Vescovo nella seconda metà/fine settembre;
– distribuzione nelle Caritas parrocchiali di un questionario su Emporio e Centri di Ascolto, raccolta del questionario a fine ottobre.
– In novembre, entro l’inizio dell’Avvento, incontro Caritas parrocchiali in ogni vicariato alla luce di quanto emerso nel questionario, “filo conduttore” sarà il fondamento della “testimonianza della carità”, di come tradurlo nella quotidianità, attraverso una nuova lettura ecclesiale, tenendo conto della fase di transizione “dal pacco, all’ascolto”
Proposte di Avvento di fraternità in base alle indicazioni di Caritas italiana
– Per la Quaresima di carità attenzione particolare ai giovani con incontri ed esperienze di servizio
– A fine maggio, incontro di verifica con Vescovo
INIZIATIVE
– Conoscere e far conoscere maggiormente i Report della Caritas sulla povertà, curare la sua diffusione all’interno della Chiesa e all’esterno (società civile) nonché promuovere sua presentazione.
– La risposta da dare alle domande di povertà ricevute, dovrà essere valutata dalla Consulta Diocesana per la Carità e in essa si dovrà valutare chi la può esaudire e promuovere conseguenti servizi.
– Non solo accogliere i poveri (italiani e non) ma integrare con casa e lavoro al fine di una interazione per una comune creatività. Potenziare la scuola dei mestieri con una visione antropologica.