Le indicazioni della Cei

La pace è un dono dall’alto ma per diventare vita concreta, quotidiana, ha bisogno dell’impegno dell’uomo. Conta sulla sapiente pazienza dell’artigiano, sulla precisione dell’orologiaio, sulla maestria del sarto, chiamato a tessere un filo preziosissimo ma molto fragile. Può venirne un vestito di gala, un abitoprêt- àporter o una giacca di taglia sbagliata, che finirà dimenticata in fondo all’armadio. Più ancora che di estro e creatività chiede cura minuta, attenta ai dettagli, tenace nell’evitare che si formino nodi duri da sciogliere. Per questo, come in un puzzle, è importante l’ordine in cui si allineano i pezzi, serve il buon uso delle parole, sono decisivi i gesti.

La Chiesa lo sa e non a caso inserisce nella liturgia della Messa le due dimensioni dell’azione di pace, quella verticale che la invoca nella preghiera al Signore e una prospettiva più orizzontale, alimentata dallo scambio con i fratelli e le sorelle della comunità. Così dopo le parole del celebrante che prega Cristo di non guardare ai peccati, alle fragilità ma alla fede del suo popolo, il credente è invitato a scambiarsi una stretta di mano, un abbraccio con il vicino di banco. Quel piccolo gesto esprime la volontà di costruire insieme un mondo riconciliato, la rinuncia al desiderio di dominio, soprattutto la disponibilità ad accettare l’offerta che arriva da Dio, nei modi e nei tempi che ha stabilito. Non si comunica all’altro il nostro affetto o un vago richiamo sentimentale, ma la pace che nasce dalla Pasqua di Cristo.

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