Asili nido gratuiti, rivoluzione necessaria

Se l’Italia è un Paese vecchio, lo è ancora di più (non a caso) la sua spesa pubblica. Nonostante la messe di annunci e promesse sul tema che ci ha avvolto negli ultimi anni, infatti, l’Italia continua a investire troppo poco sui servizi per l’infanzia. Lo ha confermato il “Bilancio di genere 2019”, presentato di recente in Parlamento: secondo i dati più recenti (riferiti al 2015), la spesa pubblica per asili nido ammonta in Italia soltanto allo 0,08% del Pil. È un livello terribilmente basso, che colloca il nostro Paese agli ultimi posti nelle classifiche europee e che non è neanche comparabile con quanto accade in Francia, dove si investe sull’infanzia 8 volte di più (0,63% del Pil), e in Germania (0,19%). La conseguenza inevitabile è che oggi in Italia soltanto il 37% dei bambini nella fascia di età 0-36 mesi usufruisce di servizi di asilo nido, privati e pubblici. Per cambiare radicalmente la situazione, serve una strategia di politica sociale “rivoluzionaria”. Molto interessante da questo punto di vista è la proposta – che condivido e rilancio – pubblicata da Francesco Figari e Mariacristina Rossi su Lavoce.info: garantire l’asilo nido gratis per tutti i bambini in Italia, a partire dal terzo anno di età. Secondo i calcoli dei due accademici, questa misura avrebbe un costo a carico dello Stato di circa 4 miliardi (da cui andrebbe scomputato oltre 1 miliardo di euro, che già oggi lo Stato italiano spende per i bonus in materia). Questo provvedimento avrebbe forte caratura simbolica: segnerebbe un cambio di rotta netto e visibile della spesa sociale in Italia, orientandola finalmente in direzione sia della “filiera futuro” che della parità di genere. Molto rilevanti sarebbero anche i benefici economici e sociali. La gratuità del servizio dell’asilo nido determinerebbe, in media, un aumento di 13 punti del tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle donne che hanno figli con meno di 3 anni. Se poi la maggiore partecipazione delle donne si trasformasse in occupazione effettiva, quella femminile aumenterebbe di circa 100 mila unità. Inoltre si renderebbe necessario un numero maggiore di insegnanti, creando quindi ulteriore occupazione (soprattutto femminile). Ma il maggior beneficio sarebbe destinato sicuramente ai nostri bimbi, che acquisirebbero in media maggiori capacità cognitive e di socializzazione. E poiché il vantaggio sarebbe ancora più forte per i bambini appartenenti alle famiglie più povere, potremmo considerare questa misura anche una mossa efficace per iniziare a riattivare l’ascensore sociale in Italia. Perché non provarci?