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Ru486 in ospedale, il Piemonte rovescia le linee guida del Ministero?
Il Piemonte potrebbe aprire una breccia nella gestione dell’aborto farmacologico deliberata dal ministro della Salute Roberto Speranza nelle recenti linee guida, che hanno esteso a tutta Italia la possibilità di dispensare la Ru486 in day hospital, ambulatorio e consultorio già prevista da 7 Regioni contro il documento ministeriale d’indirizzo vigente dal 2010 (e ora cancellato dal nuovo intervento). Il governo regionale piemontese sta infatti considerando la possibilità di elaborare un regolamento che, in forza dell’autonomia delle Regioni in materia sanitaria, indichi nel ricovero fino al completamento (imprevedibile) della procedura abortiva la modalità ordinaria per l’interruzione di gravidanza con i due farmaci (la pillola abortiva vera e propria e le prostaglandine per l’espulsione del feto morto). L’assessore agli Affari legali Maurizio Marrone (FdI) ha infatti interpellato l’Avvocatura regionale per verificare eventuali profili di illegittimità del regolamento ministeriale: in particolare l’incompatibilità dell’aborto praticato nei consultori in base alla legge 194 e la non praticabilità degli aborti farmacologici in day hospital al di fuori di situazioni di assoluta emergenza. Un parere dell’Avvocatura che riconoscesse questi due profili problematici metterebbe l’assessore alla Salute Luigi Icardi (Lega) nelle condizioni giuridiche per emanare un regolamento regionale che corregge le linee guida nazionali con garanzie più stringenti per la donna, non più lasciata sola ad abortire a casa, per strada o al lavoro.La sola ipotesi che il Piemonte possa aprire un fronte “garantista” sull’aborto chimico eventualmente ispirando altre Regioni a guida centrodestra ha suscitato la reazione polemica delle opposizioni che parlano di «battaglia ideologica volta a colpevolizzare le donne» (parole di Paolo Furia, consigliere regionale del Pd) mentre il ginecologo radicale Silvio Viale, che all’Ospedale Sant’Anna di Torino pratica l’aborto con la Ru486 da oltre 10 anni e che si è sempre sottratto alle precedenti linee guida del Ministero, assicura che «non cambia nulla» e che «continueremo a dare la Ru486 in day hospital» aggiungendo poi giudizi sull’«ideologia misogina e antiabortista» che ispirerebbero il documento ancora in cantiere. Polemiche inconsistenti, visto che la Regione ha tutto il diritto di indicare la procedura abortiva che ritiene più sicura sul proprio territorio, esattamente come hanno fatto negli anni 8 Regioni che si sono sottratte alle indicazioni emanate dall’allora ministro Maurizio Sacconi e dalla sottosegretaria Eugenia Roccella: Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Lazio, Puglia, Lombardia e Piemonte (oltre all’Umbria, che poi ha invertito la rotta con la nuova giunta Tesei), tutte lasciate assolutamente libere di scegliere la dispensazione della Ru486 anche in day hospital. Non si vede perché il governo regionale piemontese ora non potrebbe cambiare orientamento e riprisitinare il ricovero.Davanti al fuoco di sbarramento del fronte favorevole al “diritto di aborto” il governatore Alberto Cirio (Lega) ha preferito la diplomazia: «La delibera – ha dicharato – non è ancora in programma, perché si sta approfondendo il tema. È una proposta dell’assessore che verrà portata prima in maggioranza per una valutazione da parte di tutti, essendo un tema che tocca le sensibilità individuali». La giunta a trazione leghista oserà sfidare il ministro Speranza? Possibile, ma tutt’altro che probabile se stiamo alla dichiarazione del leader della Lega Matteo Salvini interpellato sul possibile cambiamento di rotta piemontese: «Non ho seguito questa vicenda – ha detto – ma lasciamo che siano le donne a decidere della loro vita e del loro futuro». A gettare altra acqua gelata sulle intenzioni della giunta piemontese arriva poi – in singolare convergenza con Salvini – arriva poi la notizia lasciata trapelare da fonti governative secondo la quale il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia (Pd) sarebbe intenzionato a impugnare un eventuale provvedimento del Piemonte, prospettiva che avrebbe ventilato nel corso di una telefonata al governatore Cirio. Un altolà in piena regola, che però nessun governo dall’adozione in Italia della pillola abortiva nel 2010 all’agosto scorso si è mai sognato di intimare alle Regioni che si dissociavano via via dalle linee guida del governo sul ricovero.
Il tema comunque è politicamente riaperto. Dopo l’ampia documentazione clinica, scientifica ed etica esposta da Avvenire nelle ultime settimane a favore di una gestione dell’aborto farmacologico sotto stretto controllo medico in ospedale e senza indulgere a inquietanti banalizzazioni di una pratica che rischia di finire del tutto domiciliarizzata, si può sperare in un confronto libero e sereno sul merito della questione abbandonando stucchevoli slogan e toni liquidatori all’indirizzo di chi dissente dalle nuove direttive ministeriali. Nell’interesse delle donne che tutti vogliono tutelare.