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«Mi chiamo Asia Bibi e vi devo la vita»
«Eccomi finalmente fuori dalla mia cella, libera! Non sopporto più il silenzio. Anche ora che sono libera, il silenzio della prigione mi perseguita. Il silenzio quando ho posato il bicchiere dopo essermi dissetata. Il silenzio freddo e autoritario che scandiva le mie giornate prima di sentir risuonare nella testa le grida e gli sbraiti della folla in delirio mentre ripeteva: “A morte la cristiana”». Si apre, così, l’intenso racconto di quasi nove anni di agonia giudiziaria fatto dalla diretta protagonista, Asia Bibi, insieme alla giornalista francese Anne-Isabelle Tollet, nel libro Finalmente libera!, appena pubblicato in Italia dalle edizioni Terra Santa. «Avete conosciuto la mia storia attraverso i media. Avete immaginato il calvario che ho dovuto sopportare, forse avete cercato di mettervi nei miei panni per comprendere la mia sofferenza…. Eppure siete lontani dall’immaginare cos’è stata la mia vita», sottolinea la prima pachistana condannata a morte per blasfemia.Una contadina di Ittan Wali, villaggio nella remota provincia del Punjab, che ha preferito restare rinchiusa «in una cella senza finestre» per 3.421 giorni piuttosto che rinunciare alla fede cristiana. Eppure Asia non si considera un’eroina. Al contrario. La scelta di scrivere nasce proprio dalla necessità di raccontare le proprie fragilità, di condividerla con quell’opinione pubblica mondiale – Italia inclusa, anche grazie alla campagna di Avvenire – che le è stata accanto, a distanza, durante l’intera prigionia. «Non mi basterà una vita per ringraziare tutti quelli che mi hanno dato il loro sostegno durante questi anni. Spesso mi chiedo perché l’abbiano fatto, e che cosa trovassero di interessante in me. Di persone che soffrono ce ne sono tante… Forse Dio ha ascoltato le mie preghiere». Fra i molti che si sono spesi, Asia ricorda, in un apposito capitolo, i papi Bendetto XVI e Francesco, che non le hanno mai fatto mancare la loro vicinanza.
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