La banalità del bene

Bisogna partire dalle parole, abitarle con cura, scavarci dentro fino ad arrivare al cuore del loro significato più vero. Si deve restare attaccati alla realtà, evitare ogni fuga, trovare il coraggio di cercare il bene tra le mille sfumature del nero che sembra coprire ogni cosa. Nel messaggio per la Giornata di preghiera per la cura del creato diffuso ieri, il Papa fa proprio questo. Va alla radice del vocabolario della fede. E da bravo pastore, che ha a cuore il suo ma anche il gregge degli altri, prova a rimuovere le erbacce che coprono il cibo buono e intanto indica la strada per arrivare là dove il sereno conquista spazio tra le nuvole scure.Non caso la chiave, il concetto guida, il filo rosso che lega insieme l’intero testo è il richiamo al Giubileo, che mentre rimanda alla fede del popolo eletto invita a leggere l’attualità segnata dal Covid con lo sguardo sapiente dei Padri. L’Anno Santo infatti è tempo per ricordare, per riparare l’armonia originaria della creazione, per tornare indietro e ravvedersi. Ma insieme chiama al riposo, quello buono, non ozioso, che libera per un momento la terra dalla presenza dell’uomo, così da farla lavorare nel silenzio di cui ha bisogno il raccolto per maturare. Visto con gli occhi del saggio di Dio, il lockdown, il confinamento, la quarantena forzata sono stati anche questo: il trovarsi davanti a un bivio, sospesi tra il desiderio di tornare alla normalità di prima e il dovere, la necessità di fare un passo avanti, di rimodulare le priorità e cambiare, fino a rovesciarla, la classifica dei bisogni.Si tratta cioè «di porre termine ad attività e finalità superflue e distruttive e coltivare valori, legami e progetti generativi». Che vuol dire andare all’origine dello sfruttamento del Sud del mondo, significa giustizia riparativa, si traduce in un nuovo appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili, oggi alle prese con gli effetti, devastanti, della crisi sanitaria, economica e sociale prodotta dal coronavirus. Naturalmente non è un ingenuo il Papa, sa benissimo che non basterà l’ennesima denuncia per cambiare il cuore di chi ha come unico credo il (suo) Pil e la crescita dei dividendi.Però ha fiducia in Dio e nella banalità del bene, nel lento, costante lavorìo di chi, giorno dopo giorno, asciuga le lacrime dei piccoli, testimonia la compassione, si mobilita nei più remoti angoli del mondo per la protezione della terra e dei poveri. Ecco allora che il Giubileo può diventare anche un evento gioioso, di festa per i tanti, soprattutto giovani, uniti nell’impegno di ricostruzione della casa comune e di attenzione ai più vulnerabili. Un servizio al Vangelo e all’uomo che in questo “Tempo del creato”, il periodo che va dal 1° settembre al 4 ottobre giorno della memoria di san Francesco d’Assisi, diventa una volta ancora itinerario ecumenico, condiviso dalle Chiese cristiane, legate dal collante della preghiera, punto di contatto imprescindibile tra la terra e il cielo.Senza, il loro sarebbe un impegno meritorio ma come ce ne sono tanti, sganciato dall’Assoluto, privo dell’apertura docile all’azione dello Spirito, soffio di vita nuova che può cambiare la faccia della Terra. È quella la conversione cui il Papa chiama i credenti, responsabilizzandoli a promuovere con uno stile di vita sobrio e solidale, l’ecologia integrale invocata nella Laudato si’. Parte da lì il rimando alla difesa delle popolazioni indigene, la richiesta di togliere dalle «nostre economie aspetti non essenziali e nocivi», l’urgenza di lavorare concretamente al ripristino dell’equilibrio climatico, il dovere di restituire libertà a chi è incatenato «nei ceppi delle schiavitù moderne» come la tratta delle persone e il lavoro minorile.

Oggi più che mai è la casa comune depredata e offesa a ricordarci che, nell’armonia del pianeta, il compito affidato all’uomo è quello di custode, non di proprietario, tantomeno di padrone. Una denuncia che è insieme un servizio alla verità. Perché quando parliamo di natura pensiamo al clima, agli animali, agli alberi ma pure l’uomo è creatura, creato, creazione. Prendersi cura della terra, farsi carico della sua bellezza, tutelarne la diversità, è anche un atto d’amore verso noi stessi.

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