Il costituzionalista: «La norma “salva-idee” è ambigua»

Riprenderà la prossima settimana il confronto sugli emendamenti del ddl Zan in commissione Giustizia della Camera. Giovedì era stato raggiunto un accordo di compromesso ritenuto importante dagli stessi promotori del ddl, con un emendamento presentato da Enrico Costa e Giusi Bartolozzi di Forza Italia – riformulato poi con Alessandro Zan (Pd) – per sgomberare il campo dal rischio di trasformare la legge contro l’omofobia in un strumento repressivo delle idee, in cui si dice che «sono consentite la libera espressione di convincimenti ed opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte». L’emendamento era stato votato anche da Forza Italia. Ma ieri sull’accordo è arrivato il no di Berlusconi che ha definito il ddl Zan «lontanissimo dalla nostra cultura giuridica dei diritti e delle garanzie. Considero anche poco responsabile tenere il Parlamento impegnato su questo, mentre gli italiani sono in grande difficoltà e attendono ben altre risposte di fronte all’emergenza economica di questi mesi». Quindi il voto di Forza Italia «non potrà che essere contrario».

Non si può imporre al privato il rispetto del generale principio d’eguaglianza. Tanto più in un ambito così delicato e controverso come l’omofobia che il legislatore non definisce in modo esaustivo nel disegno di legge. È l’opinione di Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università Europea di Roma.

L’emendamento approvato ieri al testo di legge Zan è garanzia sufficiente per la tutela della libertà d’opinione?

Pur ispirato da motivazioni apprezzabili, l’emendamento non è scritto bene. Non fuga i dubbi che la proposta solleva, al di là del meritorio scopo di estirpare la violenza. Essa incide sul regime di tutti i diritti di libertà, protetti dalla Costituzione. Non solo la manifestazione del pensiero, poiché è prevista la punizione con il carcere fino a 18 mesi per le discriminazioni fondate su sesso, (identità di) genere, orientamento sessuale. Nei divieti potrebbero ricadere comportamenti come la ricerca di una baby-sitter donna e il diniego di assumere per tale ruolo un uomo che si sentisse di genere femminile; o il rifiuto di preparare una torta per un’unione civile, come avvenuto negli Usa, con un caso giunto fino alla Corte suprema con vittoria del pasticciere. La norma per escludere tali rischi dovrebbe essere più netta. Perché non si richiama il nesso tra atti discriminatori e violenza? Perché non si fa riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione? L’uso dell’aggettivo ‘legittime’ dà l’idea di un cane che si morde la coda: non si applicano i divieti a ciò che la legge non vieta.

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