Il Cantico dei cantici

La tradizione giudaica e quella cristiana sono concordi nell’ammirare questo testo singolare: il “canto più bello”, appena 1250 parole, lo 0,42% della Bibbia ebraica, 49 di queste hapax legomena della Bibbia ebraica. Ma l’ammirazione per Ct va di pari passo con la ricerca di un senso del libro stesso: letterale o allegorico? In Ct si parla di Dio una sola volta, in 8,6, non si parla mai di matrimonio, pur parlando di coppia, e men che meno di figli (pur se non mancano allusioni alla fecondità). I problemi del Ct si riassumono nella discussione circa la sua canonicità: essa non verteva tanto sulla appartenenza di Ct alle Scritture sacre, quanto piuttosto alla sua interpretazione. Nasce proprio in questo contesto l’interpretazione allegorica di Ct, che durerà sino ai nostri giorni.

Qualcuno vorrà sapere chi è l’autore di questo gioiello letterario o gli autori. Non lo sappiamo. Non sappiamo neppure con esattezza quando fu composto, né dove fu composto. Ma questo, forse, non importa molto: un nome o una data non aggiungerebbero molto alla composizione del libro. Secondo l’uso tipico della tradizione sapienziale, Ct è posto sotto lo pseudonimo di Salomone (cf. 1,1; 3,9; 3,11; 8,11). Ma l’ebraico è tardivo, e molti autori pensano oggi al III sec., l’inizio dell’epoca ellenistica, la stessa epoca del Qo, così da fare di Ct una risposta ebraica alle nascenti tendenze giudeoellenistiche. Collocato sullo sfondo del primo ellenismo, il Cantico diviene una risposta ebraica alla concezione che il mondo ellenistico aveva dell’amore; ma il poeta, contrariamente agli ammonimenti contro la «donna straniera» contenuti in Pr 1-9 (v. oltre), sceglie di rispondere positivamente alla grecità, cantando la bellezza di un amore divino proprio perché profondamente umano. L’autore del Cantico è sconosciuto; è un ebreo colto, aperto alla cultura greca, buon conoscitore della lirica alessandrina e della letteratura d’amore egiziana classica; il nostro poeta resta tuttavia un israelita profondamente ancorato alla propria tradizione.

Nell’interpretazione giudaica antica, testimoniata soprattutto nel Targum e nel Midrash Rabbah (VI – VIII sec. d.C), il Cantico inizia ad essere riletto come allegoria del rapporto sponsale tra YHWH e Israele sullo sfondo dell’esodo; tale rilettura passa nell’uso liturgico sinagogale, dove il Cantico viene letto durante la festa di Pasqua e ancora utilizzato nella liturgia dell’accoglienza del sabato; il sabato è accolto con le stesse parole di Ct: “vieni, mio diletto, incontro alla sposa”.

La tradizione patristica è pressoché unanime nell’interpretare il Cantico in chiave allegorica; cuore del Cantico è l’amore del Verbo di Dio per la Chiesa; la lettura di Origene fonderà a lungo la quasi totalità dei commenti cristiani al Cantico, che vedranno in questo libro l’unione di Dio con Israele o la Chiesa, o l’unione dell’anima con Dio. L’interpretazione allegorica (sia quella giudaica che quella patristica) è oggi caduta in crisi ed è in realtà insostenibile, dato che non trova fondamento alcuno né nella tradizione più antica del Cantico né ancor meno nel testo stesso. Resta il fondato sospetto che alla base della lettura allegorica vi sia una visione negativa della sessualità, una sorta di a-priori metodologico che impedisce al lettore di aprirsi al senso più ovvio del Cantico (quello di essere un poema d’amore umano).

Ma il rifiuto dell’allegoria non deve condurre, per reazione, l’interprete a ridurre il Cantico a un testo “naturale”, addirittura pornografico, secondo una corrente esegetica attualmente piuttosto diffusa; il Cantico non è il poema del libero amore, un amore de-istituzionalizzato e ribelle. Per comprendere bene il Cantico è indispensabile, infatti, inserirlo all’interno di un più vasto contesto biblico; mostrarne poi il carattere profondamente sapienziale e, infine, metterne in luce la dimensione simbolica.

Se inseriamo il Cantico nel suo contesto biblico (e dunque canonico) esso appare come uno sviluppo del testo di Gen 2,18-25 (un midrash di Gen): il Cantico descrive l’amore della coppia in una situazione di ritrovato paradiso, un vero e proprio eros redento, l’amore umano vissuto secondo il progetto di Dio. Da questo punto di vista, il Cantico riprende anche la metafora sponsale più volte utilizzata dai profeti; nel caso del Cantico, però, al centro c’è la realtà dell’amore umano, prima ancora di quello divino. Il Cantico è come la voce della donna che si aggiunge a quella dell’uomo, già udita in Gen 2,23. E’ altresì significativo il fatto che il Cantico sia stato inserito all’interno dei libri sapienziali, proprio attraverso l’attribuzione salomonica; il suo tema, infatti, è legato all’esperienza concreta della vita: non l’amore di Dio, prima di tutto, ma quello della coppia, un tema tipicamente sapienziale.

La dimensione sapienziale del Cantico va vista piuttosto, come si è detto, nel saper ricondurre l’amore alla sua dimensione autenticamente umana, profana, secolare: per questa ragione il Cantico non parla mai direttamente di Dio, se non alludendovi soltanto in 8,6. Così facendo, il Cantico reagisce anche contro una mentalità paganeggiante ove l’amore è considerato una realtà da idolatrare (come ad esempio nei culti cananaici) o come un Dio (Eros) che prende possesso dell’uomo. L’apparente profanità del Cantico è dunque il frutto del suo preciso carattere sapienziale. L’amore è sottratto alla sfera sacrale e pienamente restituito all’uomo: l’amore profano non è necessariamente un amore profanato. Il Cantico non è un’allegoria che si serve di temi umani solo come pretesto per parlare dell’amore di Dio. Avviene esattamente il contrario: è cantando la bellezza dell’amore umano visto nella sua dimensione squisitamente sessuale, persino erotica, che il Cantico apre a chi lo ascolta gli orizzonti infiniti dell’amore divino. Non si tratta dunque di scegliere tra “lettera” e “spirito”, ma di leggere nella “lettera” una serie di significati che trascendono la lettera stessa. Ciò è possibile proprio grazie al carattere metaforico del Cantico, meglio, alla sua dimensione simbolica: in questo senso l’amore umano perfetto, dove corporeità ed eros sono già linguaggio di comunione, senza perdere la sua carica concreta e personale, giunge di sua natura a dire il mistero dell’amore che tende all’infinito, ed esprime la realtà trascendente e divina.

Bibliografia

Luca Mazzinghi, Cantico dei cantici (nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), Cinisello Balsamo (Mi) 2011.

Gianni Barbiero, Non svegliate l’amore. Una lettura del cantico dei cantici, Milano 2007.

Luis Alonso Schökel, Cantico dei cantici. La dignità dell’amore, Casale Monferrato 1990.

Gianfranco Ravasi, Il Cantico dei cantici. Commento e attualizzazione, Bologna 1992.